L’11 marzo 2020 moriva il primo paziente covid-19 di Caltanissetta. L’uomo, un biologo di 58 anni, era deceduto poche ore dopo il suo arrivo in pronto soccorso. Da alcuni giorni aveva la febbre. Poi le condizioni sono precipitate. Da allora in provincia di Caltanissetta sono morte 168 persone. Di contro i guariti sono già 6.514. In prima linea in questa lotta contro il covid il direttore della centrale operativa del 118 di Caltanissetta Giuseppe Misuraca che abbiamo intervistato.
Un anno fa arrivava su un’ambulanza del 118 il primo malato covid-19 nisseno. Il paziente purtroppo moriva poco dopo al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Elia per via della grave polmonite. Era il momento in cui il coronavirus faceva ingresso, nel modo più drammatico, in provincia di Caltanissetta. Come ha pensato in quel momento e come ha vissuto questo anno da uomo e da medico?
Sono stati momenti di grande apprensione, ricordo perfettamente quella chiamata di emergenza da parte dell’utente, ricordo l’intervista che l’operatrice di Centrale fece e di come si andava materializzando in me la quasi certezza di essere difronte al primo caso di Covid in provincia, cosa che poi fu confermata dall’esito del tampone molecolare. E’ stato come essere investito da un’onda. Ho avvertito, ad un tratto, il peso delle mie responsabilità.
Si doveva riorganizzare e rimodulare il sistema dell’emergenza sanitaria con un nuovo approccio mentale e operativo. Iniziarono dunque momenti di confronto a più livelli sia Assessoriali che aziendali con la costituzione di una Task Force deputata alla gestione dell’emergenza epidemiologica nel territorio e nei nostri ospedali. Nella mia mente, si materializzava quello che nei due mesi precedenti avevamo ripetuto e spiegato in un corso di formazione per i nostri soccorritori e sanitari sulle emergenze NBCR e biocontenimento, quelle tute, quei dispositivi di protezione che ci facevano sorridere quando qualcuno li indossava per la simulazione, sono diventati la nostra divisa, la nostra quotidianità. Non erano ammesse esitazioni.
Il briefing giornaliero, con il mio coordinatore infermieristico di centrale Calogero Alaimo, dotato di grande esperienza nel settore, con la direzione e con l’assessorato, penso siano stati indispensabili nel fornire una risposta immediata alla gente, razionalizzando gli arrivi in ospedale senza sovraccaricare il sistema ospedaliero. Il fatto di essere abituati a lavorare in emergenza ha ormai consolidato una certa forma mentis, che ci ha sicuramente aiutato nel fronteggiare le situazioni più complicate. Da uomo, invece, la difficoltà maggiore è stata quella di dover spiegare il coronavirus a mio figlio di 4 anni e tutte le limitazioni che gli stavamo imponendo. La cosa più frustrante era la mia assenza da casa: lo lasciavo la mattina presto che dormiva e lo ritrovavo la sera tarda a letto.
Il 118 ad un certo punto ha subito una vera e propria “decimazione” a causa del Covid-19. Diversi operatori sono rimasti infetti eppure non è mai mancata l’assistenza ai cittadini. Uno degli infermieri è anche stato ricoverato per mesi in rianimazione. Come ha affrontato quel momento così drammatico.
E’ stata una situazione pesante da dover gestire, sia sotto il profilo umano che professionale. Leggere i dati del personale infetto, pur nella consapevolezza della loro elevata esposizione al rischio, ha comportato rimodulazioni continue per poter garantire il soccorso h 24. Il personale rimasto, pur tra mille paure, non si è mai tirato indietro, continuando a fare turni infiniti, estenuanti, e con la solita determinazione e professionalità, dando il massimo.
Anche il cuore del soccorso è stato colpito: abbiamo registrato un focolaio tra il personale della sala operativa, e tra i miei collaboratori. Questo è stato il momento più buio per me, anche con momenti di sconforto e qualche lacrima e con un pensiero fisso, continuo a chi stava lottando contro la morte in un reparto di rianimazione. Ma lì lo spirito di squadra e di appartenenza ci ha permesso di fronteggiare una prova senza precedenti, impegnandoci al meglio, a tutela dell’intera collettività, senza cedere alla paura, allo sconforto e alla stanchezza. Il più bel regalo l’ho ricevuto per la vigilia di Natale: una videochiamata con il mio infermiere ricoverato in rianimazione.
Attualmente qual è la situazione in provincia di Caltanissetta? Siamo alle porte di una terza ondata? Quante e che tipo di chiamate arrivano alla sala operativa?
Quella attuale è una situazione gestibile. Non registriamo nessun aumento di chiamate e i trasporti per casi sospetti/ confermati si attestano a circa 5-6 al giorno nell’intera provincia. I reparti di degenza e terapia intensiva non sono sovraccarichi. Non si registrano già dopo i primi periodi dell’emergenza, carenza dei DPI, che ci vengono forniti regolarmente. Inoltre, grazie alla lungimiranza della direzione strategica dell’Asp, abbiamo allestito due centri di sanificazione per i mezzi di soccorso all’avanguardia su tutto il territorio regionale, permettendo una rapida ed efficace sanificazione del personale e dei mezzi.
Siamo in anticipo di due settimane rispetto al resto d’Italia, ma fra un paio di settimane tutto quello che sta succedendo nel resto del Paese, per il diffondersi delle varianti, probabilmente si ripeterà anche da noi. Dobbiamo essere bravi a blindare questo vantaggio, con comportamenti che rispettino le misure di contrasto al Covid e aderendo il più possibile alla campagna vaccinale che deve diventare sempre più capillare. I dati di oggi mostrano un flusso di chiamate settimanali di circa 1100 richieste di soccorso, in atto solo il 5% è classificato come patologia respiratoria, nel periodo di picco della prima e seconda ondata siamo arrivati anche al 20% del totale.
Voi siete quelli in prima linea. I primi a dare assistenza al malato in questa e in altre emergenze. Qual è la sensazione che si prova quando si sa di avere in mano la vita di un’altra persona? Cosa le piacerebbe trasmettere a chi vuol fare questo lavoro?
Avere in mano la vita della gente è il fondamento della nostra attività di sanitari e degli uomini del soccorso. Coniugare egida professionale e umanità non sempre è facile dinnanzi a grandi sofferenze. Da uomo dell’emergenza ho sempre fatto i conti con la responsabilità di operare tra la vita e la morte, come in un equilibrio sottile, e in certi momenti il sentire che un’esitazione, un ritardo, una debolezza possono costare la vita a chi è letteralmente nelle nostre mani. Penso che ogni professionista dell’emergenza abbia e richiami alla memoria storie, molte di vite salvate e altre di vite finite, che rappresentano i due volti della stessa medaglia, il nostro lavoro. Questi ricordi lasciano fluire un mondo emozionale che per quanto addestrati, in qualche modo, si fa sentire “sotto pelle”.
Ai miei colleghi che inizieranno a lavorare nell’emergenza-urgenza dico di conservare sempre la capacità di riconoscere e rispettare la dignità umana anche in situazioni critiche, nel rispetto di quel ruolo di competenza che assume un peso nella relazione e che lo conduce ad essere comunque un riferimento cui tutti si rivolgono per ottenere risposte e rassicurazioni.
Cosa le piacerebbe dire a chi l’ha affiancata in questo lungo anno, i suoi collaboratori.
Grazie, per il lavoro straordinario che avete fatto in questi mesi e che continuate a fare per fronteggiare l’emergenza pandemica che ancora ci affligge. L’essere stato testimone della loro abnegazione totale, della loro presenza infaticabile e premurosa, anche dopo molte ore di lavoro estenuante, della loro capacità di mantenere la calma in una situazione così delicata, mi ha arricchito come uomo e come medico, per me loro sono stati i mie eroi ed a loro devono essere tributati gli elogi.