Pubblicato il: 24/04/2021 alle 11:53
In manette con l’accusa di corruzione. È un terremoto negli ambienti giudiziari pugliesi la notizia dell’arresto del gip del tribunale di Bari Giuseppe De Benedictis e dell’avvocato penalista barese Giancarlo Chiariello, scattati stamattina su richiesta della Dda. Il gip di Lecce ha disposto per entrambi il carcere: i due sono accusati di aver stretto un accordo corruttivo in base al quale il giudice avrebbe emesso provvedimenti di scarcerazione in favore degli assistiti dell’avvocato Chiariello, in gran parte appartenenti a famiglie mafiose o legate alla criminalità organizzata barese, foggiana e garganica. Stando a quanto emerso dalle indagini, il legale avrebbe consegnato il denaro al giudice presso la sua abitazione, in studio o anche all’ingresso di un bar vicino al nuovo Palazzo di Giustizia di Bari. La data chiave per l’inchiesta è il 9 aprile, quando De Benedictis è stato perquisito nel suo ufficio ed è stato trovato in possesso – secondo la Dda – di una tangente di circa 6mila euro ricevuta poco prima da Chiariello. Il giudice, subito dopo, ha presentato al Csm richiesta di dimissioni dalla magistratura perché provava “vergogna“. La perquisizione è stata poi estesa anche all’abitazione del magistrato dove, nascoste in alcune prese per derivazioni elettriche, sono state sequestrate numerose mazzette di denaro per importi variabili tra 2mila e 16mila euro (per un totale di circa 60mila), ritenute dagli inquirenti frutto della corruzione.
L’intera operazione è scattata il 9 aprile, quando De Benedictis si è recato nell’abitazione dell’avvocato Chiariello per riscuotere – secondo gli inquirenti – il prezzo della corruzione dovuto per la concessione degli arresti domiciliari ad Antonio Ippedico, in carcere per associazione mafiosa e successivamente posto agli arresti domiciliari. In quell’occasione i carabinieri hanno osservato De Benedictis incontrarsi con Chiariello, salire sul vicino studio legale alle 8 del mattino, per poi scendere dopo qualche minuto con materiale cartaceo nelle mani e quindi, senza mai essere perso di vista dagli stessi agenti, salire sull’auto e recarsi in ufficio. Qui De Benedictis, ripreso dalle telecamere nascoste, ha tirato fuori una busta piena di banconote dal giubbotto e l’ha riposta nelle tasche dei pantaloni. A questo punto i carabinieri sono intervenuti e hanno perquisito il magistrato, sequestrando la somma in contante di 6mila euro. De Benedictis ha subito rilasciato a verbale dichiarazioni spontanee con le quali ha ammesso di avere ricevuto poco prima da Chiariello la somma “per il disturbo”.Al momento risultano iscritte nel registro degli indagati numerose altre persone, nei confronti delle quali sono in corso perquisizioni. Si ipotizza che gli indagati siano coinvolti, oltre che in episodi di corruzione, anche in fatti di rivelazione di segreti d’ufficio per avere acquisito e divulgato, illecitamente, notizie custodite in banche dati riservate, relative a dichiarazioni di collaboratori di giustizia ancora segrete. L’ipotesi dell’accusa è che diversi detenuti, potendo contare sull’accordo corruttivo tra il giudice e l’avvocato (circostanza peraltro nota da tempo nell’ambiente criminale stando a quanto riferito dai collaboratori di giustizia), in cambio del pagamento di tangenti sarebbero riusciti ad ottenere provvedimenti di concessione di arresti domiciliari o remissione in libertà, pur essendo sottoposti a misura cautelare in carcere per reati anche associativi. La procura di Lecce sostiene che in questo modo i detenuti sono riusciti a rientrare nel circuito criminale, con “indubbio vantaggio” proprio, del difensore e delle stesse organizzazioni criminali.
Il magistrato, che due settimane fa aveva manifestato l’intenzione di lasciare la toga suscitando non poco clamore sulla stampa locale, dal momento che ancora non se ne conoscevano le ragioni, appena lo scorso anno aveva lasciato il Tribunale di Matera per rientrare a Bari, dove aveva già lavorato fino al 2010 quando subì un provvedimento di arresto nell’ambito di un’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Come riferisce la Gazzetta del Mezzogiorno, il magistrato – noto collezionista di armi – era stato accusato di essere in possesso di un’arma da guerra (una carabina) che non poteva essere detenuta. Nel marzo 2018, però, la Cassazione lo aveva definitivamente assolto, annullando senza rinvio la condanna a due anni di reclusione (pena sospesa) inflittagli dalla corte d’Appello di Lecce.