Si accende il Medio Oriente fra nuovi lutti e antiche responsabilità: Israele e Hamas, annidate nelle rispettive roccaforti di Gerusalemme e di Gaza City, all’incirca da due settimane, ricusano vicendevolmente misfatti e violenze, dove la voce dei razzi, ancora una volta, ha preso il sopravvento su una definitiva risoluzione della questione palestinese. Benché il conflitto sia stato liquidato come un mero affare della politica interna israeliana, una sua lettura superficiale indurrebbe a schierarsi acriticamente; invece, esso appare una novità nelle sue pieghe profonde.
Le radici del conflitto vanno ricercate nell’aggressiva politica edilizia israeliana nel quartiere arabo di Sheikh Jarrah, sito nella Gerusalemme Est, e non, dunque, nelle infinite scaramucce tra Arabi – in questo caso, Hamas – ed Ebrei, alle quali il lettore occidentale è avvezzo. Infatti, Sheikh Jarrah, nella visione urbanistica israeliana, sarebbe stato l’anello di congiunzione territoriale tra i quartieri ebraici a ovest di Gerusalemme e le colonie della Cisgiordania. Ecco, allora, la politica israeliana di espropri, ai danni dei residenti arabi, e di conseguente colonizzazione. Questa situazione, sulla cui illegittimità si è pronunciato l’O.N.U., ha innescato giustamente le proteste dei residenti palestinesi. Dall’altro canto, il governo israeliano ha tentato di contenere le manifestazioni, ricorrendo all’ausilio dell’esercito e della polizia, la cui ultima provocazione, tuttavia, ha peggiorato il delicato quadro politico.
L’ultimo venerdì del Ramadan – il 7 Maggio appena trascorso – le forze israeliane hanno attaccato, e successivamente occupato, il complesso sacro di Al Aqsa, che è ubicato proprie nelle adiacenze del quartiere di Sheikh Jarrah, ingenerando sdegno nel mondo islamico.
Le responsabilità di Hamas subentrano in tale frangente quando si sforza di sovrapporsi alle richieste di aiuto degli israeliani arabi. Sul suo intervento militare, in questi giorni, si è scritto molto: si è parlato, ad esempio, di una strumentalizzazione della protesta, al fine di calamitare su di sé l’attenzione del microcosmo palestinese, in vista delle elezioni parlamentari previste per la fine del mese di Maggio.
Le organizzazioni firmatarie, interrogatesi su quale indirizzo assumere dinanzi ad una tale emergenza diplomatica di eco internazionale, considerano quanto segue:
· la questione umanitaria palestinese sopravanza una risoluzione politica egoistica e paternalista. È noto, nel dibattito internazionale, che i cittadini israeliani arabi siano fortemente discriminati dalla componente maggioritaria israeliana, così come sono risapute le scarse condizioni di benessere economico – frutto delle politiche isolazioniste israeliane – della Striscia di Gaza;
· la classica teoria risolutiva di “due popoli, due Stati” potrebbe risultare, ad oggi, surclassata da nuove proposte che, da un lato, guardino alla fragilità delle comunità palestinesi, ormai frastagliate nel territorio israeliano, avviando un sincero processo democratico, e, dall’altro lato, consentano ad esse la garanzia di un futuro prospero, al riparo da ogni ingerenza straniera destabilizzante e nel rispetto del principio di autodeterminazione;
· la cessazione delle ostilità è il presupposto della pace. Si è ravvisata la necessità di una mobilitazione che sensibilizzi la comunità locale sulle peculiarità del tutto nuove del recente conflitto arabo-israeliano e che chieda con forza alle politiche nazionali ed internazionali un maggior impegno nel dirimere la contesa.
Per tali motivi, le organizzazioni firmatarie si impegnano a promuovere una manifestazione pacifica alla Città di Caltanissetta, senza alcuna coloritura partitica e a sostegno di una diplomazia, scevra da ogni tornaconto personale, in Medio Oriente, appellandosi alla coscienza dei cittadini e delle cittadine nonché a quelle associazioni, alle quali sta a cuore la salvaguardia del diritto internazionale.