"C'è un dato emerso nel corso dell'operazione "La Bella vita" che deve farci riflettere: le associazioni di categoria e antiracket, così solerti per altre problematiche, non hanno dato alcun contributo per fermare quest'azione di pressione sui commercianti, da parte degli arrestati, per sostenere le loro attività criminali e garantire le paghe ai detenuti". Lo ha detto il questore di Caltanissetta Emanuele Ricifari (al centro nella foto tra il procuratore Gabriele Paci e il nuovo capo della Squadra Mobile Nino Ciavola) commentando l'operazione della Squadra Mobile che ha portato all'arresto di sette persone, tra cui il reggente di Cosa Nostra nissena Carmelo Bontempo.
"Le associazioni nate per contrastare il fenomeno delle estorsioni – ha continuato Ricifari – come si direbbe in gergo giornalistico "hanno bucato". D'altro canto in questo lungo periodo di pandemia hanno avviato un'attività molto intensa per sottolineare e fare presente i problemi della categoria connessi al covid. Dunque estremamente, e giustamente, attivi su questo fronte e totalmente e colpevolmente silenziosi sul fenomeno delle estorsioni. Sto cercando di capire, da poliziotto, se si tratti di omertà o negligenza. Quando dico colpevolmente non dico che sono mafiosi, ma certamente rilevo una negligenza nel cogliere questi aspetti. Negligenza che a queste latitudini, e in questo particolare momento diventa inaccettabile"
Il riferimento del questore Emanuele Ricifari è al dato emerso ieri nel corso della conferenza stampa sull'operazione. I commercianti si convincevano a pagare il pizzo allorquando veniva detto loro che i soldi sarebbero serviti per sostenere i detenuti e le loro famiglie. Imprenditori di categorie diverse e le cui posizioni adesso sono al vaglio degli inquirenti. Per capire se si tratta di vittime o di persone che hanno contribuito favorendo le attività dell'organizzazione criminale. "Adesso – continua Ricifari – mi aspetto la fila da parte di chi vuole denunciare. Finora nessuna delle organizzazioni di categoria è venuto ad accennare questo problema ed è strano perché vuol dire o che non hanno rappresentanza della loro gente e la loro gente non si fida di loro, oppure che c'è una connivenza ambientale su cui mi interrogo prima da cittadino e poi da poliziotto".
"Resta il fatto – continua il questore – che siamo disponibili a raccogliere eventuali denunce o dichiarazioni. Ma finora, al di là di protocolli e dichiarazioni di intenti non stiamo vedendo alcun riscontro. E questo vale soprattutto per il capolugo, visto che in altre aree della provincia le associazioni antiracket, seppur tra tante difficoltà, hanno offerto un contributo". Ma nel corso della conferenza stampa di ieri è emerso un altro fatto inquietante. Gli imprenditori per risolvere i problemi con la concorrenza o con i foritori si rivolgevano ai membri dell'associazione. "Ulteriore elemento di allarme e preoccupazione desta una cultura – ha sottolineato Ricifari – che ancora nel 2021, dopo gli innegabili successi delle forze dell'ordine e della magistratura, anziché risolvere le controversie rivolgendosi a noi, o ricorrendo alla mediazione professionale, scelga di rivolgersi ai cosiddetti "padrini". Un atteggiamento che non può non destare profondo sconforto anche perché è inutile poi che si parli ai giovani di una nuova Sicilia e una città che vuole risorgere se non si dà l'esempio".