Pubblicato il: 24/09/2021 alle 10:50
Sgominata, con l’odierna operazione condotta dai Carabinieri e coordinata dalla DDA della Procura Nissena, un’organizzazione criminale di tipo mafioso, con base a Mazzarino (CL) e ramificazioni sull’intero territorio nazionale e in particolare nell’area milanese. Nel corso di quattro anni d’indagine, a carico dell’articolazione mafiosa denominata “famiglia SANFILIPPO” riconducibile alla “STIDDA”, sono stati raccolti numerosi elementi circa i reati di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsioni (consumate e tentate), delitti in materia di armi e di sostanze stupefacenti, aggravati dal metodo mafioso.
All’alba di oggi, in questa provincia ed in altre località del territorio nazionale, i Carabinieri del Comando di Provinciale di Caltanissetta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Caltanissetta, sulla base della richiesta della Procura della Repubblica – D.D.A. di Caltanissetta, a carico di 55 soggetti (37 in carcere di cui 8 già detenuti per altra causa, 13 ai domiciliari di cui 1 già detenuto per altra causa, 2 obblighi di presentazione alla P.G., 3 misure interdittive allo svolgimento di attività professionali), gravemente indiziati, a vario titolo, dei delitti di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsioni (consumate e tentate), reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti, aggravati dal cd. metodo mafioso. Gli indagati sono ritenuti appartenenti all’associazione mafiosa di Mazzarino (CL), denominata “clan Sanfilippo” e riconducibile alla “Stidda”. Tre degli arrestati, localizzati in Germania (due) e in Belgio (uno), sono stati catturati in quei paesi dalle unità FAST (Fugitive Active Searching Team) tedesche e belghe, coordinate con l'omologa unità italiana del servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia.
Le Indagini
Il provvedimento cautelare scaturisce da un’articolata indagine condotta tra il 2017 e il 2021 dalla Sezione Operativa del Nucleo Operativo e Radiomobile del Reparto Territoriale dei Carabinieri di Gela ed è stata avviata sulla base di elementi info-operativi forniti dal Comando Carabinieri Tutela Agroalimentare.
In particolare l’attività d'indagine trae origine dalle risultanze compendiate in una nota del 2016 dell’allora Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari-Nucleo di Coordinamento Operativo, reparto deputato istituzionalmente alla prevenzione e repressione delle frodi in danno dell'Unione Europea e Nazionali nell'ambito del settore agro-alimentare, della pesca e dell'acquacoltura. Il citato Reparto comunicava gli esiti di un'attività di analisi e confronto dei dati presenti nella banca dati SIAN, che funge anche come tracciamento di domande di ammissione alle varie tipologie di sussidio, eseguita sul conto di alcuni dei membri della famiglia mafiosa dei SANFILIPPO di Mazzarino che avevano presentato una domanda nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola, benché ininterrottamente sottoposti a misure restrittive della libertà personale.
L’attività investigativa, ha consentito di ricostruire l’articolato quadro dei settori economici interessati dalle attività criminali della famiglia mafiosa di Mazzarino. È stato possibile, infatti, ricostruire tanto le attività criminali tipiche della tradizionale “mafia agricola”, quanto quelle più articolate finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti o alla percezione di contributi pubblici per l’agricoltura, ottenuti attraverso false dichiarazioni.
In tale contesto, è emersa anche l’attività di pressione estorsiva esercitata dalla consorteria in danno di numerosi imprenditori e operatori commerciali di Mazzarino, costretti a corrispondere somme di denaro per il sostentamento dei sodali detenuti, a fornire gratuitamente beni e servizi ai membri del clan e ad effettuare assunzioni fittizie di affiliati. L’intensità e capillarità della predetta pressione hanno consentito ai componenti dell’organizzazione di approvvigionarsi di ingenti risorse economiche, drenandole dall’economia reale del territorio vessato, secondo un modello comportamentale di tipo apertamente parassitario.
Per raggiungere questi fini gli affiliati si avvalevano di un consistente arsenale di armi da sparo, necessarie per affermare il controllo criminale nell’area di riferimento e non esitavano a porre in essere condotte violente nei confronti dei pochi che osavano resistere alle loro pretese. In ultimo, è stato possibile far luce su due casi di “lupara bianca” e su un traffico di sostanze stupefacenti (in particolar modo cocaina). Assolutamente peculiare la circostanza secondo la quale, le direttive – in relazione alle attività criminali, provenivano da soggetti in stato di detenzione.
Gli omicidi Le indagini hanno permesso di fare luce su due casi di “lupara bianca”, individuando gli esecutori materiali di due omicidi, commessi nel 1984 e nel 1991 per consolidare la supremazia della “famiglia Sanfilippo” sui gruppi mafiosi rivali. In particolare nel 1984 un operaio edile di 22 anni di Mazzarino, sospettato di appartenere ad uno dei gruppi criminali rivali, sarebbe stato attirato con l’inganno in un luogo isolato e strangolato dopo essere stato violentemente percosso. Il corpo non è mai stato ritrovato.
Qualche anno dopo, nel 1991, un uomo di 28 anni di Mazzarino, sospettato di essere il custode delle armi per conto di uno dei clan rivali, prima di essere strangolato, sarebbe stato lungamente interrogato, percosso e, addirittura, mutilato mediante il taglio delle orecchie, del naso e delle dita. Il corpo, gettato all’interno di un pozzo nelle campagne mazzarinesi, non è stato mai ritrovato.
Le estorsioni
Il settore delle estorsioni, al pari di quello degli stupefacenti, rappresentava una fonte di indiscutibile importanza per il sostentamento economico della “famiglia SANFILIPPO” e impegnava molti degli appartenenti all'organizzazione, ivi compreso il boss detenuto SANFILIPPO Salvatore che sfruttava gli incontri con i proprio familiari, per ricevere aggiornamenti sulle attività illecite poste in essere dal clan e per impartire le direttive. A essere presi di mira erano tanto le principali attività commerciali della zona (operanti ad esempio nel settore della grande distribuzione o della ristorazione), quanto bar, piccoli artigiani e, persino venditori ambulanti. I membri del sodalizio applicavano rigidamente il principio della territorialità, assoggettando alle loro pretese anche coloro che provenendo dai paesi vicini, commettevano reati in Mazzarino.
Le armi
È stato accertato che l’associazione aveva la disponibilità di grandi quantità di armi da fuoco, in alcuni casi ben occultate presso insospettabili fiancheggiatori. I membri del sodalizio, inoltre, erano pronti ad utilizzarle in qualsiasi momento per perseguire gli scopi illeciti del loro clan e garantirsi il pieno controllo del territorio. Nell’ambito delle indagini – in una perquisizione operata nel territorio di Mazzarino – sono stati rinvenuti un fucile, diverse parti di pistola cal. 9 e numeroso munizionamento.
Il traffico di sostanze stupefacenti
Dalle indagini compiute dai Carabinieri è stato possibile delineare anche l’organigramma di una fiorente associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante in territorio di Mazzarino e Gela e con un canale di approvvigionamento diretto dalle cosche Calabresi. A tal proposito è emblematico l'episodio del bacio intercorso, presso il carcere di Sulmona, tra il capoclan di Mazzarino e il fornitore calabrese (della provincia di Vibo Valentia), indicativo del fatto che questi fosse pienamente a conoscenza dell'apporto di ciascun componente del gruppo mazzarinese nonché delle dinamiche e delle gerarchie interne allo stesso.