Pubblicato il: 19/11/2021 alle 16:46
In Italia è scattato quasi un allarme alimentare al giorno con ben 297 notifiche inviate all’Unione europea durante il 2020, delle quali solo 56 (19%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale, mentre 160 provenivano da altri Stati dell’Unione Europea (54%) e 81 da Paesi extracomunitari (27%). È quanto emerge dal dossier Coldiretti sulla «black list dei cibi più pericolosi» presentato al forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione sulla base delle rilevazioni dell’ultimo rapporto del Sistema di allerta rapido europeo (Rasff).
Un sistema che registra gli allarmi per rischi alimentari verificati a causa di residui chimici, micotossine, metalli pesanti, inquinanti microbiologici, diossine o additivi e coloranti nell’Ue nel 2020. «In Italia – sottolinea la Coldiretti – oltre otto allarmi alimentari su dieci sono dunque scattati a causa di cibi pericolosi provenienti dall’estero (81%)».
Dai semi di sesamo dell’India di moda per le insalatone salutiste alla carne di pollo low cost dalla Polonia, dalla frutta e verdura turca al pepe nero brasiliano fino all’ortofrutta e ai fichi secchi dalla Turchia: questi gli alimenti che salgono sul podio della «black list» dei prodotti più pericolosi per la salute rilevati nella Ue.
Nella lista, informa Coldiretti, rientrano anche le arachidi da Usa e Argentina, i pistacchi turchi ed iraniani e le ostriche francesi. In generale in testa alla classifica dei Paesi dai quali giungono i cibi più contaminati ci sono l’India, responsabile del 12% degli allarmi alimentari scattati in Europa, la Turchia con il 10% e la Polonia (10%) ma «preoccupazioni – continua la Coldiretti – arrivano anche dalla Francia (6%), dall’Olanda (6%) e dalla Cina (6%)». «Occorre garantire che le importazioni di prodotti da paesi terzi rispettino gli stessi standard sociali, sanitari e ambientali delle produzioni italiane ed europee» afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, nel sottolineare l’importanza che l’Ue assicuri il principio di reciprocità nei rapporti commerciali.(Gds.it)