Pubblicato il: 07/05/2024 alle 21:32
“Il mio assistito Mario Bo è una persona che non conoscevo prima di affrontare questo processo, ma nel corso di questi anni ho maturato stima e rispetto nei suoi confronti. Ne apprezzo le doti, il senso di abnegazione e quella che ritengo la dote più importante per una persona appartenente allo Stato, cioè il rispetto nelle istituzioni”. E’ cominciata così l’arringa dell’avvocato Giuseppe Panepinto, difensore di Mario Bo, funzionario di polizia imputato nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte d’Appello presieduta da Giovambattista Tona.
“Mario Bo – ha continuato l’avvocato Panepinto – ha dedicato la sua vita allo Stato italiano, alla Polizia di Stato, ha partecipato alle più grosse operazioni che hanno portato all’arresto e alla condanna di soggetti malavitosi. Il grande valore che ha il dottore Bo non è solo quello di riuscire a sopportare la gogna mediatica, ma il fatto di dover sopportare il mettere in dubbio il rispetto che questo uomo per una vita ha portato allo Stato e il doversi difendere da questa accusa così infamante di avere tradito lo Stato italiano”.
Mario Bo oggi è presente in aula. Insieme a lui sono imputati i poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudi. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia per aver costretto, secondo la procura, il pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage di via D’Amelio. La procura di Caltanissetta ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“Questo non è il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana, ma il più grande accanimento della storia giudiziaria. Ci troviamo – ha continuato Panepinto – in presenza di uno dei tanti errori giudiziari che affastellano la storia. Oggi vi chiedono di fare un altro errore giudiziario, vi chiedono di condannare delle persone che sono sostanzialmente innocenti. Non ci troviamo in presenza dello Stato italiano che sta processando una parte dello Stato italiano, ma di uno Stato che si vuole pulire la coscienza sulla base di ciò che è accaduto 30 anni fa. Oggi – ha sostenuto il penalista – si chiede di pulire il coltello ancora sporco di sangue su tre poliziotti. E vi chiedono dunque di infangare la memoria di coloro che non sono più tra noi: poliziotti, funzionari, magistrati. Certamente il grande sconfitto di questo processo è lo Stato italiano”.
“Si è parlato di una anomala collaborazione sulle indagini sulla strage di via D'Amelio, tra i magistrati e il Sisde, ma in questo processo non c’è un solo atto di polizia giudiziaria che sia stato fatto dal Sisde. Tutti i magistrati che abbiamo sentito – ha aggiunto Panepinto – Saieva, Palma, Boccassini, hanno escluso che qualsiasi atto di indagine svolto da loro sia mai stato delegato o concordato con il Sisde. E quindi di Sisde in questo processo non se ne dovrebbe parlare. Cosa ha fatto in concreto il Sisde? Si è limitato, come è naturale che fosse, a raccogliere per trasmettere al Nucleo centrale di Roma informazioni sullo stato delle indagini, su un fatto così grave come può essere una strage peraltro”.