Pubblicato il: 20/06/2020 alle 08:40
Sono internisti, infettivologi, infermieri e Oss e arrivano da vari reparti coloro che in questi mesi hanno lavorato, e continuano a lavorare, al pronto soccorso infettivologico dell'ospedale Sant'Elia, approntato nella palazzina di Malattie Infettive. E' qui che il paziente viene visitato, sottoposto a tampone, tac se necessario, e indirizzato al reparto di competenza, oppure dimesso (se i sintomi non sono gravi) dopo che viene fatta la diagnosi. Alcuni di questi medici e infermieri hanno scelto volontariamente di far parte di questo team sin da subito quando ancora l'allerta era altissima e non si sono mai tirati indietro di fronte a quel virus terribile e sconosciuto. Tra di loro ci sono gli infettivologi Alfonso Averna (responsabile del pronto soccorso infettivologico), Lillo Marsala, e i medici del pronto soccorso Rosetta Petix e Francesca Nigro, l'internista Gianfranco Gruttadauria, la fresca di laurea Alessandra Bellavia, con esperienza al pronto soccorso, e gli infermieri Daniele Morgana, Dama Nancy, e gli Oss, anche loro fondamentali (nella foto Girolama Lombardo). Se i casi di nuovi positivi sono ormai pochissimi, loro continuano a lavorare incessantemente. Al pronto soccorso infettivologico continuano ad arrivare infatti tutti i pazienti, dai neonati agli anziani, che accusano tosse, febbre e dispnea. Casi che per fortuna, ormai, pochissime volte hanno a che fare con il coronavirus. "La vera e propria emergenza è finita – spiegano i medici – ma mai abbassare la guardia perché il virus è ancora in giro. Continuano ad arrivare febbri e dispnee ma raramente si tratta di coronavirus. E anche i pazienti positivi al virus raramente adesso hanno la polmonite. A inizio emergenza – raccontano – arrivavano casi gravissimi. Persone convinte di aver contratto un'influenza e quindi si recavano in ospedale quando la situazione era ormai critica. La particolarità di questo virus era questa polmonite interstiziale severa che in poche ore faceva precipitare il quadro clinico del paziente, in questo senso non avevamo mai visto nulla di simile". Negli ultimi giorni una ricerca ha affermato che i pazienti con gruppo sanguigno A sono quelli che manifestano i sintomi più gravi. "In effetti – dicono i medici del pronto soccorso infettivologico nisseno – abbiamo riscontrato questa tendenza. Molti dei pazienti arrivati da noi in gravi condizioni avevano gruppo sanguigno A". La ricerca di cui parliamo è stata condotta da un team internazionale di cui fa parte anche il Politecnico di Milano. “Con la nostra ricerca abbiamo stabilito che il gruppo sanguigno è uno dei principali fattori ereditari che predispongono a sviluppare una malattia più grave per la COVID-19”, ha dichiarato il professor Luca Valenti, medico del Centro Trasfusionale del Policlinico di Milano e coordinatore del gruppo di scienziati italiani coinvolti nell'indagine. “In particolare – ha aggiunto lo specialista – i risultati ci dicono che il gruppo sanguigno A ha un rischio aumentato di compromissione polmonare severa, mentre chi appartiene al gruppo 0 è più protetto. E dato che il gruppo sanguigno è ereditario, è possibile concludere che è ereditaria anche la predisposizione ai sintomi più gravi per questa malattia”.