Riapre dopo anni all'interno dell'Ipm di Caltanissetta l'Ufficio di Mediazione Penale Minorile, uno spazio di ascolto dove le parti, vittima e reo, prima separatamente e poi, se lo riterranno opportuno insieme, avranno la possibilità di poter esprimere il proprio vissuto personale rispetto all'evento, confrontarsi e conoscersi reciprocamente.
E' una data storica – ha spiegato Maria Grazia Carneglia, direttore del centro diurno polifunzionale – l'ufficio di mediazione in passato aveva lavorato molto bene, un'esperienza più che positiva che si era purtroppo conclusa nel 2011 e adesso riparte con l'appoggio e il sostegno dell'autorità giudiziaria minorile di Caltanissetta che ci crede moltissimo e in particolare con il sostegno della dottoressa Vagliasindi, presidente della Corte d'Appello, che ha creduto molto nella potenzialità della mediazione pur essendo un procedimento extragiudiziale. Il contatto del reo con la vittima, la possibilità di essere messo di fronte alla sofferenza arrecata per i giovani ha una valenza enorme. Nel concreto tutto partirà da una segnalazione dell'autorità giudiziaria di aprire un percorso, libero e discrezionale sia da parte della vittima che del reo, e soprattutto viene tutelata al massimo la privacy di entrambi. Se poi la mediazione va avanti seguono vari incontri con una procedura tutelante sia per il reo che per la vittima".
Sostanzialmnete si tratta di andare a creare un incontro tra la persona offesa e colui il quale ha commesso il reato – ha specificato Stefano Strino, sostituto procuratore della Procura per i minorenni di Caltanissetta – e molto spesso accade che quest'ultimo, se non incontra la persona offesa, non ha mai la piena consapevolezza di quello che ha fatto. Questo discorso vale ancora di più con i minorenni in quanto spesso nel loro caso non si ha la consapevolezza della gravità del gesto e questa consapevolezza viene recuperata solo nel momento in cui la persona offesa gli riversa addosso il disagio e la frustrazione che ha subito per quel gesto. Mi viene in mente un caso che capita spesso cioè quanto la vittima è una minore che invia delle proprie foto che la ritraggono nuda al fidanzatino il quale poi provvede a diffonderle tramite il web o i canali di diffusione tipo whatsapp senza rendersi effettivamente conto del danno che provoca alla persona offesa, ed è capitato che in realtà che questo incontro persona offesa e imputato avvenga nell'aua di giustizia o in udienza preliminare dove non possono essere messi in campo quelli strumenti che invece possono essere messi in campo nel caso della mediazione penale. Quindi sicuramente è un ottimo strumento per garantire al minore la consapevolezza del gesto che ha fatto. E solo rendendosi conto dela gravità del gesto potrà in futuro astenersi dal commettere nuovamente quel reato. Inoltre da un senso alla messa alla prova fatta in un momento successivo. Perché molto spesso la messa alla prova rimane scarsa di contenuti non come progetto ma come consapevolezza dell'imputato e questo è un dato confermato dalle statistiche di recidiva del reato anche a seguito di messa alla prova".
"Un reato tanto più se è commesso da minorenni – ha spiegato Alessandro Padovani, direttore del centro studi opera Don Calabria di Verona, ente che si è occupato della formazione degli operatori – è sempre una frattura, personale con la vittima, ma anche sociale perché scatta un sistema che punisce il minore. Il mediatore si mette in mezzo a questa frattura e cerca di far parlare l'autore del reato con la vittima di modo che questa frattura si ricomponga. Una figura importantissima tanto più oggi che si parla di povertà educativa. Se non si sanano queste fratture il futuro di questi adolescenti sarà un futuro spezzato".