Pubblicato il: 12/09/2024 alle 09:46
(Vincenzo Falci, Gds) Non v’è prova che lui e la sua amica siano stati ricettatori di “oro rosso”. Una tesi, quella della difesa, che alla fine il giudice ha condiviso. Tanto da assolvere i due imputati.
Così s’è chiuso il processo a due giovani finiti nei guai sull’onda di un controllo dei carabinieri di Serradifalco che risale a due anni e mezzo fa. Quel giorno i militari, nell’auto guidata dal giovane (assistito dall’avvocatessa Adriana Vella), una Fiat Seicento appartenente alla madre, hanno trovato diversi cavi elettrici. Con lui, in quel momento in auto v’era anche una sua amica (assistita dall’avvocatessa Francesca Cocca).
Secondo la tesi accusatoria quel materiale nel bagaglio sarebbe stata refurtiva. In particolare rubata da una ditta dismessa che era stata già interessata da furti di cavi d’energia elettrica.
Elementi, il ritrovamento e la catena di colpi ai danni dell’azienda, che secondo gli inquirenti sarebbero stati accomunati da un filo conduttore.
Ed entrambi, alla fine, sono stati trascinati in giudizio per rispondere di ricettazione in concorso. Ipotesi di reato per cui è stata chiesta pure la loro condanna.
Ma la difesa ha evidenziato come non v’era prova che quel materiale trovato nel bagagliaio, solo di presunta provenienza furtiva, fosse effettivamente dell’imputato. Perché l’utilitaria era anche nella disponibilità di altri familiari. E, peraltro, non è stato accertato nemmeno che si trattasse in realtà di refurtiva. Sarebbe rimasta sola una ipotesi.
Teoria generale accolta dal giudice che, alla fine, ha assolto i due imputati perché «il fatto non sussiste».