Pubblicato il: 30/09/2014 alle 14:18
“L'attuale scenario politico è dominato da un dibattito alquanto acceso: l’abolizione dell’art. 18 rientrante nel pacchetto di riforme del mercato del lavoro, lo Jobs Act del Governo Renzi. L’art. 18 della Lex 300/1970, nota come lo Statuto dei Lavoratori, tutela il dipendente in caso di licenziamento illegittimo; si applica, così come le altre norme dello Statuto, alle aziende con più di 60 dipendenti e nelle unità produttive con più di 15 dipendenti”. Sulla spinosa questione dell'articolo 18 interviene il segretario provinciale del Silp-Cgil, Davide Chiarenza.
“La norma, fulcro della legge in questione, è stata oggetto di numerose modifiche, da ultimo quella apportata dalla Legge Fornero nr.92/2012. Nella sua prima stesura del 1970, l’art. 18 prevedeva soltanto la reintegrazione nel posto di lavoro, rinominata dalla riforma Fornero tutela reale forte. Questa, infatti, ha aggiunto nuove ipotesi, creando una “graduazione” della gravità del licenziamento, riservando la tutela reale forte in caso di licenziamento nullo (discriminatorio). Si distinguono diverse forme di tutela in caso di licenziamento illegittimo: la reintegrazione nel posto di lavoro, in caso di licenziamento discriminatorio; un indennizzo in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo”, dice il segretario del sindacato di polizia che aggiunge: “L’abrogazione dell’art 18 comporterebbe il venir meno di tutele fondamentali per il lavoratore, di diritti conquistati dopo tante lotte e scioperi, i quali si riassumono proprio nello Statuto dei Lavoratori emanato all’indomani dell’autunno caldo. Èvero, i diritti comportano sempre una spesa economica nel bilancio dello Stato, si parla infatti di costo del lavoro a carico degli imprenditori e, in un momento di crisi economica come quello attuale, si cerca proprio di ridurre i costi sostenuti dalle imprese a scapito però dei lavoratori. Tuttavia i diritti sono anche sinonimo di civiltà e sviluppo e, l’abrogazione dell’art. 18 porterebbe una regressione storica di più di quarant’anni – conclude Chiarenza -. Sarebbe pertanto opportuno, a nostro avviso, una riscrittura dello stesso, in quanto nell’attuale stesura si riscontra una certa farraginosità del sistema di tutela: partendo dal presupposto che il lavoratore deve essere tutelato in caso di licenziamento illegittimo, occorre individuare le modalità più opportune di tutela fermo restando la salvaguardia del posto di lavoro in caso di licenziamento discriminatorio”.