Pubblicato il: 20/03/2024 alle 17:05
“Da 7 anni la nostra vita è un inferno, da quando nostro figlio è in stato vegetativo”. A parlare è Gian Battista Maestri, geometra 49enne e padre di Mattia, il bimbo di 4 anni che nel 2017 finì in coma dopo aver mangiato un pezzo di formaggio prodotto con latte crudo di un caseificio sociale di Coredo, in Val di Non, contaminato da escherichia coli.
Nonostante la corsa all'ospedale di Cles e al Santa Chiara di Trento in condizioni gravissime, la pediatra si sarebbe rifiutata di valutare il suo caso. “Sono troppo stanca” avrebbe risposto ai genitori di Mattia, che oggi ha 11 anni. La dottoressa è stata rinviata a giudizio per lesioni e rifiuto di atti d'ufficio, mentre a dicembre l'ex presidente del caseificio Lorenzo Biasi e il casaro Gianluca Fornasari sono stati condannati per lesioni gravissime dal giudice di pace con una multa di soli 2478 euro.
“Il rinvio a giudizio della pediatra è stato una grande soddisfazione per me e mia moglie – ha raccontato Maestri al Corriere della Sera -. È una battaglia civica: quella dottoressa dovrebbe cambiare lavoro, invece si trova ancora al suo posto in ospedale”.
Eppure, secondo la Procura, quel rifiuto avrebbe portato a una diagnosi tardiva della Seu, scoperta tre giorni dopo l'ingresso in ospedale- “Siamo molto arrabbiati con quella dottoressa. Quei tre giorni sono stati importanti. La colpa principale è di quel caseificio, se mio figlio non avesse mangiato quel formaggio starebbe bene, eppure quel prodotto era stato consigliato proprio per la merenda dei bimbi”.
“Quel giorno – ha spiegato ancora il papà di Mattia – mio figlio ha mangiato quel formaggio e si è sentito subito male. Siamo corsi prima all'ospedale di Cles dove è stato in osservazione e poi a Trento. La dottoressa al pronto soccorso pediatrico ha chiesto un consulto alla pediatra che però si è rifiutata”. Secondo il padre del bambino, infatti, la dottoressa avrebbe apostrofato la collega rifiutandosi di effettuare la visita richiesta. “Sono stanca – avrebbe asserito – è tutto il giorno che corro”.
“L'abbiamo sentita noi – continua Gian Battista Maestri -. A quel punto un'altra dottoressa l'ha portato nel suo reparto e l'ha operato di appendicite, ma non si trattava di quello. Se la pediatra lo avesse visitato, almeno non lo avrebbero operato e non sarebbe peggiorato. Invece è entrato in coma ed è stato ricoverato per un mese in terapia intensiva all’ospedale di Padova. Per un altro anno è rimasto in un centro di riabilitazione a Conegliano, dove ci hanno potuto solo insegnare come gestirlo a casa, ormai era in uno stato vegetativo insanabile. Mia moglie si è licenziata e da quel momento lo gestisce giorno e notte: 47 farmaci al giorno, uno ogni ora e mezza”.
Anche il papà del piccolo Mattia ha lasciato il lavoro dopo la tragedia per stare vicino ai familiari. “Per mio figlio non c'è più niente da fare, la malattia non si ferma. L'ultimo ricovero è stato due settimane fa”. Nonostante l'accaduto, il caseificio sociale di Coredo ha ricevuto poco tempo fa il marchio di qualità. “Il riconoscimento ci indigna – ha continuato Maestri -. Vogliamo che ritirino la targa e che si dimettano i responsabili dell’Azienda per il turismo che lo ha consegnato. E vietino i prodotti con latte crudo per i bambini come in Francia”.