Pubblicato il: 14/12/2020 alle 20:11
Sono una trentina ad oggi i pazienti covid positivi operati nel blocco operatorio dell’ospedale Sant’Elia dall’inizio della pandemia. Blocco operatorio che fu inaugurato a dicembre dell’anno scorso e dove oggi operano chirurghi di nove differenti specialità che hanno dovuto fare i conti con un virus inaspettato e di cui inizialmente si conosceva davvero poco. A raccontare come è cambiato l’approccio con i pazienti è Giovanni Di Lorenzo, direttore dell’Unità Operativa Dipartimentale ad indirizzo aziendale per il coordinamento delle sale operatorie di tutta la provincia. “Nella prima ondata – spiega Di Lorenzo – eravamo tutti impreparati e temevamo moltissimo il contagio e quindi si lavorava non con la tranquillità con cui si lavora adesso, seppur sempre con grande professionalità. Nella seconda ondata si è compreso che, prendendo le dovute cautele, attraverso i dispostivi di protezione, il rischio di contagio è veramente basso. Anzi, il rischio di contagiarsi è molto più alto nei supermercati, dal barbiere o nei vari locali che non in ospedale dove oggi tutti i pazienti vengono sottoposti a tampone prima di essere portati in sala. Oggi sappiamo in anticipo – spiega il medico – se un paziente è un covid positivo o negativo. Per chi arriva in emergenza viene fatto il tampone rapido, che poi sarà confermato dal molecolare. Però se c’è una problematica tale, per cui il paziente è in imminente pericolo di vita ci accontentiamo del test rapido, e portiamo subito in sala il paziente, comunque con una certezza maggiore. Dopodiché quando si opera un paziente positivo, tutte quelle manovre in apparenza semplici, come ad esempio prendere un accesso venoso o anche semplicemente fare una carezza al paziente, diventano più complesse. Cambia sicuramente il rapporto medico-paziente perché il malato non riesce più a vederci in viso. Riusciamo anche a parlare con il paziente ma manca quello scambio di sorrisi che sarebbe d’aiuto prima di un intervento. Ovviamente cerchiamo di trovare altri modi per dare tranquillità”. Al momento all’interno del blocco operatorio è stata sistemata anche la terapia intensiva Covid-19 che in un primo momento si trovava al quarto piano dell’ospedale. Ma, come spiega il dirigente medico, sono garantiti percorsi diversi che garantiscono piena sicurezza sia ai pazienti che agli operatori sanitari. “All’interno della terapia intensiva covid, che si trova pure in questo blocco, abbiamo allestito una sala operatoria covid. Il paziente positivo, entra nel percorso covid, gli operatori sanitari entrano e si vestono aiutati da altri operatori e approcceranno il paziente in modo da garantire massima sicurezza e risultato. Alcuni dei pazienti positivi a fine intervento vengono trattenuti in terapia intensiva Covid, altri trasferiti in Malattie Infettive con consulenze giornaliere. Quindi sicuramente è cambiato l’approccio chirurgico ma non in termini di qualità”. Per quanto riguarda i possibili interventi al momento non è prevista la chirurgia di elezione. Di Lorenzo ci spiega cosa significa. “Una disposizione dell’assessorato alla Salute, recepita dalle Asp – spiega il chirurgo – prevede l’interruzione della chirurgia ordinaria conservando le patologie in emergenza, in urgenza, in urgenza differibile, patologie neoplastiche o patologie che ricadono in una classe di priorità A. Se facciamo un’analisi molto accurata si tratta della fetta maggiore dei pazienti. In termini pratici vuol dire che magari non opereremo l’ernia inguinale del paziente che può aspettare o il tumore benigno del surrene, o la calcolosi della colecisti o un nodulo benigno della mammella. Ma se per esempio una colecisti dà fenomeni infiammatori subentranti, difficoltà a digerire, vomito o complicanze come la pancreatite, e allora quella patologia, seppur benigna, rientra in una classe di priorità A e quindi può essere sottoposta ad intervento chirurgico. Le urgenze differibili sono ad esempio i tumori o le fratture legate alla scadenza delle 48 ore, o gli ematomi subdurali o gli aneurismi che non sono rotti ma non dobbiamo aspettare che si rompano. Nel blocco operatorio insistono ben 9 discipline chirurgiche. Aspettiamo di far scendere l’ultima che è l’oculista e nelle 9 abbiamo anche le due sale di emergenza che lasciamo sempre libere per i pazienti in imminente pericolo di vita”. Dall’apertura del blocco operatorio l’ospedale Sant’Elia è tornato ad essere punto di riferimento anche per una serie di innovazioni e device di cui la struttura si è dotata. “Per quanto riguarda i device – spiega Di Lorenzo – siamo i primi in Italia ad avere i dispositivi multiparametrici che ti permettono di monitorizzare il paziente dalla sala operatoria verso i reparti in assoluta sicurezza. In un unico dispositivo in pratica abbiamo elettrocardiogramma in tutte le derivazioni, misurazione frequenza cardiaca, saturazione dell’ossigeno, temperatura corporea e la mobilizzazione del paziente, cioè se si muove troppo o troppo poco ci avverte. Quindi il rischio che ci sia una complicanza post operatoria e noi non ce ne accorgiamo è veramente basso. Tra le innovazioni c’è anche il sistema di gestione di tutti i materiali per la sala operatoria, attraverso un Rf Code che registra tutto ciò che entra e viene utilizzato in sala operatoria e quindi non ci troviamo mai in deficit di materiali. E siamo i primi in Sicilia ad averlo applicato. Insomma siamo un blocco operatorio all’avanguardia. C’è in programma una sala operatoria ibrida, cioè una sala operatoria dentro la quale si può fare una radiologia interventistica e una sala operatoria integrata dentro la quale potrà essere installato il robot collegato con tutti i sistemi di digitalizzazione e lavorare in telemedicina, per interfacciarci ad esempio con gli studenti o con gli operatori sanitari che seguono i congressi. Mi preme anche sottolineare che se oggi qui al blocco operatorio riusciamo a fare bene la nostra attività è perché la direzione generale crede in una progettualità all’avanguardia e ci supporta in tutto”. Infine il coordinatore del blocco operatorio fa il punto sul ruolo svolto dalla chirurgia dell’ospedale Sant’Elia in Sicilia. “La nostra chirurgia – spiega – ha un ruolo di centralità perché qui viene eseguita tutta la chirurgia maggiore che fanno i grandi centri. Facciamo una chirurgia dei tumori del colon, l’ernia iatale, l’acalasia, il surrene in laparoscopia, le tiroidi con la chirurgia mininvasiva. Gli aneurismi vengono trattati anche per via endoscopica. La neurochirurgia opera dalle ernie discali ai tumori cerebrali con grossi risultati, grandi numeri con l’ortopedia, e sottolineo, ancora, il ruolo dell’urologia soprattutto per quanto riguarda il trattamento della prostata. Quindi devo dire che tutte le discipline svolte all’interno del blocco operatorio mantengono un livello alto sia in termini di numeri che di qualità dell’intervento chirurgico. Noi siamo punto di riferimento delle tre province, Caltanissetta, Enna e Agrigento, ma ultimamente su molte patologie, quali acalasia, ernia iatale, tiroide, e tante altre siamo una struttura ricettiva di grandi province come Palermo, Catania e Trapani”.