Parola alle parti civili oggi nel processo d’appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Imputati tre esponenti della polizia di Stato: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Secondo la procura di Caltanissetta avrebbero costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulle stragi per fare condannare persone estranee ai fatti. Nella scorsa udienza il procuratore generale Fabio D’Anna ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“In Cosa nostra tutti parlavano del mandante esterno ma nessuno sapeva chi fosse. Sappiamo anche che Riina fece un patto con questa entità esterna. Che le due stragi del ’92 siano stragi di mafia è indiscutibile. E’ chiaro. Ma chi è questa mafia che agisce? Fu una nuova mafia diversamente composta con due componenti: una istituzionale e una mafiosa stragista. Quindi agiscono insieme. Dall’ideazione fino all’esecuzione. Il dottore Arnaldo La Barbera fece il lavoro che ha fatto per depistare le indagini e lo fa perché consapevole della presenza di una nuova forma associativa”. Lo ha detto l’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di parte civile di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Gaetano Murana, (assolti nel processo di revisione per la strage di via D'Amelio) al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage del 19 luglio 1992 a Palermo, in cui furono uccisi Paolo Borsellino e 5 agenti della polizia di Stato, che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte d'Appello presieduta da Giovanbattista Tona. Arnaldo La Barbera era a capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino della Squadra Mobile di Palermo di cui facevano parte i tre esponenti della Polizia di Stato imputati nel processo.
“Mi associo ai sentiti, e non solo doverosi, ringraziamenti per come si è svolto il processo in secondo grado. Vorrei dare voce in questa sede al dottore Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento. Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana vi è la verità della menzogna. Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo.
“Questi magistrati – ha continuato Trizzino – hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso. Mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori. Le condotte dei pubblici ministeri si collocano al di fuori dell’errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell’immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottore Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l’eredità morale di Paolo Borsellino. Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile”.
“Ancora oggi a distanza di ben 32 anni – ha continuato Trizzino – non sappiamo, al netto dell’agenda rossa, quali fascicoli, quali carte avesse nella borsa il dottore Paolo Borsellino. E cosa è avvenuto nell’ufficio del dottore Borsellino? Non sappiamo quali fascicoli ci fossero sulla sua scrivania. Non sappiamo – ha continuato Trizzino – per esempio se ci fossero dei fascicoli sugli appalti perché non abbiamo mai visto un verbale di sequestro dei documenti. Eppure Borsellino era uno che lavorava tanto. E ancora il dottore Borsellino viene ucciso alle 16.58. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti alle 23.28 del 19 luglio 1992”.
Poi Trizzino riferendosi al falso pentito Vincenzo Scarantino, che secondo l’accusa sarebbe stato imbeccato dai tre poliziotti imputati per costruire una falsa verità sulle stragi, ha aggiunto: “Si è deciso di ‘scarantinizzare’ le indagini. Perché quel depistaggio non si può spiegare solo con qualcosa che riguarda Cosa Nostra. Come puoi pensare che lo Stato non reagisse? Ci si concentrava su Vincenzo Scarantino sui suoi sbalzi d’umore e non su elementi fondamentali delle indagini”.
“Il dottore Bruno Contrada non era in via D’Amelio. Ma è stato il classico agnello sacrificale da mettere sull'altare” Ha detto Trizzino che poi, riferendosi ai tre poliziotti imputati nel processo, ha detto: “Ho compassione per il momento attuale ma non per il comportamento di allora. Perché – ha aggiunto riferendosi al capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino Arnaldo La Barbera – è assurdo che se una figlia chiede ‘dov’è l’agenda di papà?’ Tu, anziché approfondire le dichiarazioni di una persona che appartiene a una famiglia distrutta, dici ‘perché non la fate curare’?”
“Arnaldo La Barbera volle Mario Bo al suo fianco. Lo richiamò dall’anonimo commissariato di provincia di Volterra. Il dottore Bo non poteva che essere grato a La Barbera, per questo suo trasferimento a Palermo con un incarico prestigioso, e gli offrì fedeltà incondizionata. Ai giudici di primo grado forse è sfuggita questa natura dinamica del depistaggio. Ciascuno entra in un determinato momento e da quel momento dà il suo contributo. Il dottore Bo – ha continuato Trizzino – decise consapevolmente di fornire il proprio contributo ad Arnaldo La Barbera. La cosa che più di altre lo dimostra è l’intercettazione di San Bartolomeo a Mare, quando Vincenzo Scarantino parla con Bo e, riferendosi a La Barbera, si capiscono al volo. E questo è l’elemento che unisce nel disegno criminale il dottore Bo al dottore La Barbera. Hanno avuto il coraggio di prendere in giro il popolo italiano. D’altra parte il dottore La Barbera aveva bisogno di fedeli esecutori che non dicessero una parola. Quella che emerge è la figura di una persona forte con i deboli e debole con i forti”.
E ancora rivolgendosi all’altro imputato Fabrizio Mattei, oggi presente in aula, Trizzino ha aggiunto: “Lei ha detto che ha partecipato alle indagini sulla strage di Capaci e allora a maggior ragione doveva capire che Vincenzo Scarantino era solo uno ‘scassapagliaro’”.
“Ci avete nascosto le intercettazioni perché sapevate che tutto il vostro castello di sabbia sarebbe crollato miseramente. Fabrizio Mattei sapeva che quando faceva ‘studiare’ Vincenzo Scarantino aveva davanti un uomo stanco, debilitato, distrutto, perché gli avevano assegnato una parte che non poteva reggere. Scarantino disse a Mattei che non ce la faceva più”. Ha affermato l'avvocato Fabio Trizzino. Secondo la tesi dell’accusa Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati nel processo insieme a Mario Bo, tutti appartenenti alla Polizia di Stato, avrebbero fatto “studiare”, imbeccandolo, il falso pentito Vincenzo Scarantino per costruire una falsa verità sulle stragi. Diverse persone furono accusate di aver preso parte alla strage, pur non avendo nulla a che fare, e condannate per poi essere assolte durante il processo di revisione. Ecco perché l’accusa per gli imputati è quella di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Aggravante che nel processo di primo grado non è stata riconosciuta. “Nella casa di San Bartolomeo a Mare, dove fu portato Vincenzo Scarantino nel periodo della sua collaborazione – ha continuato Trizzino – c’era un telefono e ce lo hanno negato. Fabrizio Mattei c’era dentro fino al collo per una parte che era chiamato a recitare. Eravate voi – ha detto rivolgendosi agli imputati – la sovrastruttura che agiva negli interessi dell’anti-Stato”. E infine Trizzino ha concluso: “Per accreditare un falso pentito lo stavano facendo passare come un uomo d'onore. Ecco perché siamo convinti che abbiano favorito la mafia ed ecco perché mi associo alle richieste del procuratore generale”.
A prendere la parola anche gli avvocati Flavio Centineo, Giuseppe Crescimanno e Vincenzo Greco. Tutti legali di parte civile. “Il mio intervento riguarda i danni che i figli del giudice Paolo Borsellino hanno subìto. Il loro è un danno da verità negata e l’impossibilità di elaborare un lutto”, ha detto l’avvocato Vincenzo Greco, legale, insieme a Fabio Trizzino, dei figli del giudice Paolo Borsellino. “Al concetto di verità negata – ha continuato l’avvocato Greco – si aggiunge quello di tradimento. Dobbiamo considerare come i tre figli del giudice Borsellino siano cresciuti con il concetto di senso assoluto del rispetto dello Stato e delle istituzioni. Principi trasmessi dal padre. Il padre muore e chi sono quelli che negano loro la verità? Sono proprio i servitori dello Stato. Gli imputati e altri soggetti hanno impedito che i veri responsabili possano essere scoperti. Viviamo in una sorta di muro di gomma infinito. Ma cosa può limitare questo danno? Cosa può fare l’autorità giudiziaria? Nel momento in cui verranno condannati coloro che, attraverso un depistaggio hanno impedito l’elaborazione di questo lutto, proprio in questo momento si mitigherà un danno che non potrà mai più essere eliminato. Pertanto ci associamo alle richieste della procura generale”. Nella scorsa udienza il procuratore generale Fabio D’Anna ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. La prossima udienza è fissata per il 30 aprile quando la parola passerà alla difesa.