Pubblicato il: 30/01/2021 alle 13:21
“L’arresto di Matteo Messina Denaro, storico latitante, non può che costituire una priorità assoluta ritenendo che nella situazione di difficoltà di Cosa Nostra il venir meno anche di questo punto di riferimento potrebbe costituire un danno enorme per l’organizzazione”. E’ quanto emerge dalla relazione del presidente della Corte d'Appello di Caltanissetta, Maria Grazia Vagliasindi, illustrata in occasione dell’apertura dell'anno giudiziario.
Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo perché ritenuto il mandante delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. “Il boss, latitante, della mafia trapanese, ricercato dal 1993, è stato condannato – si legge nella relazione – in quanto ritenuto responsabile della linea stragista di Cosa nostra imposta dai corleonesi di Totò Riina. È il terzo processo che si celebra a Caltanissetta per la strage di Capaci e il quinto per la strage di via D’Amelio, dove sono stati condannati capimafia ed esecutori materiali degli attentati. Il latitante originario di Castelvetrano era già stato condannato all’ergastolo per le stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano in cui morirono dieci persone ma non era mai stato processato per le bombe di Capaci e via D’Amelio”. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, è stata ricostruita in particolare “l’ascesa al vertice di Cosa nostra trapanese della famiglia Messina Denaro, stretta alleata dei corleonesi di Totò Riina a partire dalla guerra di mafia degli anni ’80”. Il presidente Vagliasindi ha anche citato le considerazioni contenute nella “relazione annuale del Procuratore nazionale antimafia per il periodo da luglio 2013 a giugno 2014” a proposito del fatto che “l’avvenuta cattura della totalità dei grandi latitanti di mafia palermitani ha di certo inferto un duro colpo a Cosa Nostra che però trova ancora un punto di forza nella ferrea alleanza patrocinata da Totò Riina, tra le cosche trapanesi ed esponenti delle famiglie mafiose di Palermo”.