Pubblicato il: 20/01/2024 alle 11:28
(Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) Sconto di pena per vertici di una casa di riposo in appello per la morte di un ospite causata da un incendio in camera. Colpevoli, ora come allora, seppur in questo secondo passaggio in aula abbiano ottenuto una riduzione della condanna rispetto al primo grado del giudizio, per il decesso del sessantaquattrenne serradifalchese Antonio Calogero Tabone, conosciuto da tutti come «Caliddru». Era alloggiato al centro «Padre Giuseppe Ingrao» di Serradifalco.
Questo il verdetto per il cinquantasettenne Stefano De Maria e la sorella, la sessantaquattrenne Mira Maria Teresa De Maria, alla sbarra per omicidio colposo. Lui, legale rappresentante della cooperativa «Aprilia 89» che gestiva la struttura che avrebbe fatto capo al Comune, è sceso adesso a un anno di reclusione, rispetto ai due anni in primo grado. Mentre lei, finita in giudizio per il suo ruolo di responsabile della prevenzione antincendi, ne è uscita ora con la pena a sette mesi contro i precedenti un anno e quattro mesi. Per l’imputa la pena rimane sospesa, seppur il beneficio sia legato allo svolgimento di lavori in favore della collettività, a titolo gratuito, per un periodo di sei mesi.
I due (assistiti dall’avvocato Giuseppe Panepinto), insieme al responsabile civile, ossia il comune di Serradifalco (assistito dall’avvocato Antonio Campione) dovranno risarcire le parti civili , ovvero i fratelli della vittima, Francesco Rosa e Salvatore Tabone (assistiti dall’avvocato Alberto Gangi). L’ammontare sarà poi stabilito in un giudizio civile. Questo il pronunciamento di condanna emesso dalla prima sezione penale della corte d’Appello presieduta da Andreina Occhipinti (consiglieri Alberto Davico e Andrea Giuseppe Antonio Gilotta) che depositerà le motivazioni entro novanta giorni.
E già in primo grado il giudice ha pure condannato gli accusati al pagamento di provvisionali subito esecutive, in favore dei Tabone, quantificandole in 10 mila euro ciascuno per Salvatore e Francesco e 20 mila euro per Rosa. La disgrazia, nella casa di riposo di via Filippo Turati, s’è consumata il 3 ottobre di dodici anni fa. Quella notte è scoppiato un incendio all’interno della camera da letto di Tabone, peraltro affetto da problemi di mobilità perché si reggeva solo su una gamba. Secondo la tesi investigativa, a innescare il rogo potrebbe essere stato un mozzicone di sigaretta non spento bene.
Erano le tre del mattino e primi a intervenire sono stati gli operatori della stessa struttura, gestita da una cooperativa. In quella stanza al primo piano, invasa da fumo e fiamme, seduto per terra, in un angolo, se ne stava un altro ospite che divideva la stanza con la vittima. Lui, sordomuto, era impietrito dallo choc, ma salvo. Per Tabone, invece, non c’era più nulla da fare. La densa coltre che rendeva impossibile respirare e il fuoco lo avevano finito. Il suo corpo era semi carbonizzato. Ma già le esalazioni, probabilmente, lo avevano ucciso. Quando i soccorritori sono arrivati era già troppo tardi.
Le indagini dei carabinieri si sono catalizzate sui responsabili della casa di riposo e, nella fase embrionale, anche su un operatore della stessa struttura che peraltro ha messo in salvo altri anziani dello stesso centro. Ma poi il suo nome è uscito dal dossier. Non gli altri due, ritenuti ancora non esenti da colpe.