Pubblicato il: 07/11/2024 alle 17:54
Il pm Maurizio Bonaccorso ha chiesto, al termine dell’udienza preliminare che si è celebrata oggi a Caltanissetta, il rinvio a giudizio per i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli per il reato di depistaggio. Ai quattro, ex appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, viene contestato dalla Procura di Caltanissetta di aver reso false dichiarazioni nel corso delle loro deposizioni in qualità di testi nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che si era concluso, in secondo grado, con la prescrizione del reato di calunnia per i tre imputati.
“Durante le loro deposizioni – ha detto il pm – sono stati detti una serie di ‘non ricordo’ che sono surreali. Ritengo che sia necessaria una verifica dibattimentale delle contestazioni che il mio ufficio muove ai quattro poliziotti, pertanto insisto nella richiesta di rinvio a giudizio”.
L’avvocato Fabio Trizzino legale dei figli del giudice Paolo Borsellino si è associato alla richiesta del pm. “Questo gruppo investigativo – ha detto – probabilmente è nato per consolidare un depistaggio che era iniziato alle 17 del 19 luglio del 1992, immediatamente dopo l’esplosione della bomba in via D’Amelio. Loro sono stati chiamati a far parte di un abominio e siccome sono validi poliziotti rimango dell’idea che si sono resi conto di quello che stava accadendo. Hanno in un primo tempo taciuto, durante il primo, secondo e terzo dibattimento. Ho avuto modo di pensare che loro vivessero questi processi come ingiustizia in ragione del fatto che coloro che li dovevano dirigere nelle indagini sono stati sfiorati e non coinvolti per come era necessario. Ma questo non li giustifica. Che Vincenzo Scarantino fosse antropologicamente inadeguato ad aver avuto un ruolo nella strage di via D’Amelio, per la loro esperienza investigativa lo sapevano. Ma quando l’impostura è stata svelata dovevate darci una mano – ha detto l'avvocato Trizzino rivolto ai quattro imputati presenti in aula – dovevate dirci quello che avete visto, quello che i vostri colleghi hanno commesso. Ho assistito a dei momenti in cui non avete offeso la nostra intelligenza, perché questo è poco, ma avete umiliato la memoria dei vostri colleghi”.
Nel corso dell'udienza l'imputato Vincenzo Maniscaldi, difeso dall'avvocato Giuseppe Panepinto, ha chiesto di essere interrogato rigettando tutte le accuse. “Non ho mai nascosto nulla”, ha detto in aula. “Le dichiarazioni del depistaggio le confermo integralmente. Ero sotto giuramento e ho detto la verità”, ha ribadito poi Maniscaldi al pm. “Riconosco le mie firme sui brogliacci relativi alle intercettazioni fatte durante la permanenza di Vincenzo Scarantino a San Bartolomeo a Mare” ha detto Maniscaldi che, in qualità di componente del gruppo di indagine Falcone Borsellino si era occupato dell’attività di ascolto delle intercettazioni a carico di Vincenzo Scarantino.
Di tutt'altro avviso il pm Maurizio Bonaccorso. “A parte alcuni singoli casi di false dichiarazioni che si riferiscono a episodi specifici, ad esempio la falsa dichiarazione di Di Gangi su una pistola puntata a Scarantino durante una colluttazione a San Bartolomeo a Mare, tutte le altre false dichiarazioni e reticenze, mascherate da non ricordo, si riferiscono – continua il pm – a punti oscuri dell’indagine su Scarantino che rappresentano elementi chiavi dell’inquinamento probatorio. Per comprendere l’atteggiamento dei testi, oggi imputati, occorre analizzare alcuni elementi scottanti. C’è la percezione di muoversi in un campo minato dove una risposta sbagliata può avere conseguenze devastanti. Per comprendere appieno quello che è l’atteggiamento di assoluta malafede dei testimoni che hanno fatto parte del gruppo ‘Falcone-Borsellino’ sarebbe necessaria un’analisi di quella che è l’evoluzione dei processi che nel corso degli anni si sono celebrati”.