“La sentenza del ‘Borsellino-quater’ per noi rappresenta il punto di partenza per l’analisi di questo processo che vede imputati i poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Sentenza che ha fatto luce su uno dei depistaggi più gravi della storia giudiziaria italiana”. Lo ha affermato l’avvocato Roberto Avellone legale di parte civile di Antonio Vullo, unico poliziotto della scorta di borsellino superstite nella strage, e dei familiari di Dario Traina ed Emanuela Loi, nel corso del processo sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta. “Tra i tanti misteri in questo processo – ha proseguito il legale – mi ha colpito particolarmente quello dell’agenda rossa. Paolo Maggi, poliziotto della Squadra Mobile ha dichiarato di avere visto sul luogo della strage di via D’Amelio e negli istanti immediatamente successivi all’esplosione, degli uomini in giacca e cravatta, “gente di Roma”, già notati a Palermo negli uffici del dirigente della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera (funzionario della polizia di Stato a capo del gruppo “Falcone-Borsellino di cui facevano parte i tre imputati, ndr), anche in occasione delle indagini sulla strage di Capaci. Ancora inqualificabile è definito dalla Corte di Assise del Borsellino-quater il comportamento tenuto da Arnaldo La Barbera, il quale riferiva alla moglie del giudice Borsellino che la borsa era andata distrutta nella deflagrazione salvo poi restituirla intatta dopo mesi, negando – a fronte delle insistenti domande di Lucia Borsellino – con toni accesi, offensivi e sprezzanti dei sentimenti dei familiari del defunto giudice l’esistenza di qualsivoglia agenda rossa. Atteggiamento aggressivo volto a mascherare, secondo la Corte, la propria difficoltà a rispondere alle domane poste. In un’intercettazione ambientale nel carcere di Milano Riina disse, interloquendo con Alberto Russo: ‘i servizi segreti gliel’hanno presa l’agenda rossa’”.
“La presenza dei servizi segreti aleggia pesantemente sull’intera vicenda e si pone quale filo conduttore dei misteri ancora irrisolti della strage di via D’Amelio. E’ innanzitutto emerso che lo stesso Procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra – ha continuato il legale – ha intrattenuto rapporti diretti con il Sisde, nella persona di Bruno Contrada, in relazione alle indagini su via D’Amelio, malgrado la legge all’epoca vigente vietasse qualunque rapporto diretto tra i servizi segreti e magistratura inquirente. Incontri che, come lo stesso Contrada ha affermato nel corso del Borsellino-quater erano stati voluti dal Procuratore Tinebra che domandava al funzionario del Sisde, già il giorno successivo alla strage di via D’Amelio, di collaborare alle indagini sulle stragi, proprio quando la Procura di Palermo indagava su quest’ultimo per concorso esterno in associazione mafiosa. L'anomala collaborazione dei servizi segreti emerge con tutta evidenza dalla nota del 13 agosto del ’92 con cui il Sisde di Palermo comunicò alla Direzione del Sisde di Roma che ‘in sede di contatti informali si è appreso in via ufficiosa che la locale Polizia di Stato avrebbe acquisito significativi elementi informativi in merito all’autobomba parcheggiata in via D’Amelio’. Che gli investigatori avessero potuto acquisire, ancor prima che comparisse sulla scena Salvatore Candura, notizie sul luogo in cui l’autovettura rubata era stata custodita, può spiegarsi solo alla luce di una fonte di natura confidenziale, mai rivelata, ritenuta dagli inquirenti così credibile da spingerli poi ad operare una serie di forzature in direzione della falsa pista della “Guadagna” e del “pentito” Scarantino. E’ proprio da questa nota – conclude Avellone – che prende piede il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”.