Cosa dire, cosa rispondere all’assessore Marcello Franciamone, riguardo alla sua proposta di valorizzazione del territorio siciliano denominata “Le Vie dello Zolfo”? Intanto che si tratta dell’ennesima proposta di “valorizzazione” del nostro patrimonio storico-culturale e ambientale. Abbiamo persino un direttore di parco, in carico all’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, che si occupa di “valorizzazione”. Stiamo parlando del direttore del cosiddetto Parco Archeologico di Gela. Malgrado il nome, il Parco comprende i diversi musei regionali, le aree archeologiche, i siti minerari dell'intera provincia di Caltanissetta. E comunque va bene. D’accordo. Le proposte sono sempre ben accette. Ma vanno discusse. Verificate, da ogni punto di vista. Di certo, nessuno parla più di “tutela”, quando si tratta di beni culturali, soprattutto di beni archeologici ed etnoantropologici. D’altronde, ciò che è perduto è perduto per sempre.
«La proposta, il progetto – afferma l’assessore Franciamone – si ispira a questo approccio: descrivere il paesaggio delle zolfare, un tempo unico e multiforme, attraverso aspetti che, per tradizione o suggestione, ne sappiano evocare lo spirito d’insieme. Al centro della scena le solfare, a svelare lo straordinario paesaggio naturale e umano che si dischiude alla loro vista. Le “Vie dello Zolfo” può veramente essere un sistema di reti di percorsi, itinerari, eventi e luoghi che nel loro insieme possa essere riconosciuto a livello internazionale come percorso identitario del paesaggio delle solfare siciliane. E tutti, adesso, possono offrire il proprio contributo per una rinascita economica, culturale e sociale. È già disponibile un sito web che dovrà essere implementato con la rete di itinerari pedonali o ciclabili tramite il destination marketing, utilizzando tutte le tecniche e le procedure che la rivoluzione digitale 4.0 mette oggi a disposizione quali, tra gli altri, social media, contenuti video, guide in realtà aumentata”.»
Che dire? Probabilmente l’assessore Franciamone non ha letto Sciascia, Leonardo Sciascia. Ma ecco cosa ci dice il grande scrittore siciliano: «La zolfara non esiste più. Rimangono echi, come segnali su piste abbandonate, a renderci conto di quello che la zolfara (o solfatara, come una volta veniva denominata) è stata nelle sue valenze antropologiche, sociali, psicologiche: e quello che essa comportò di infelicità, di umiliazione, e pure di intraprese, di avventura umana, di esodi spavaldi e disperati, di bassezze e di coraggio, di prepotenze e di arroganze, di ricchezze rapide, di crisi, di abominevoli sfruttamenti (…). Ormai non esiste. Spenglerianamente è una forma morta, un simbolo dunque, remota immagine di un processo e di una deiezione. Restano di essa le narrazioni, le cronache, le analisi, ricordi, memorie; la scrittura, cioè. In definitiva la parola. La quale quasi mai è adeguabile alla cosa. Essa va al di là, diventa iperbole, figura, allegoria, o ne resta al di qua rispetto a una realtà inenarrabile.»
E dunque? Dunque le vie dello zolfo sono finite. Finite con la chiusura delle zolfare. E l’anelato “turismo delle miniere” è, al massimo, un turismo di nicchia. Di questo dobbiamo avere piena consapevolezza, anche per immaginare nuovi percorsi, nuovi progetti – di conoscenza/tutela/valorizzazione – che siano fondati, condivisi, convincenti. E sicuri. Cosa resta, comunque? Resta il nostro “paesaggio”: un paesaggio storico, millenario. Peculiare. Un paesaggio in cui sono leggibili i fondamentali aspetti geografici e fisici, la straordinaria geologia, ma anche i molteplici segni delle trasformazioni della società contadina, del mutare degli assetti economici, del progredire delle tecniche. Un paesaggio in cui sono leggibili le ferite e gli abbandoni, i monumenti, lo splendore e le rovine. Bisogna saperlo descrivere, raccontare questo nostro paesaggio. E bisogna saperlo re-immaginare, con nuovi occhi e nuove energie. E il futuro è ciò che verrà e sarà ciò che noi saremo in questo processo. Prof. Leandro Janni, presidente regionale di Italia Nostra Sicilia