Pubblicato il: 05/05/2023 alle 09:16
(di Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) Di richieste estorsive non ne avrebbero ricevute. Nulla, nessuna pressione. A negarle sono stati tre imprenditori, al processo a quella che è ritenuta la nuova mafia nissena e al presunto neo reggente di Cosa nostra, il quarantacinquenne Carmelo Antonio Bontempo. Quei tre episodi di pizzo che i presunti destinatari hanno sostenuto di non avere mai subito figurano tra le imputazioni a carico della sospetta nuova cellula mafiosa. E sono stati pure al centro di alcune misure cautelari, seppur poi annullate in parte dal Riesame.
Teorie contro al processo di Caltanissetta, tra accusa e presunte vittime di estorsioni, nel dibattimento che vede alla sbarra, oltre al presunto capomafia Bontempo, anche Fabio Meli, 45 anni, Giovanni Puzzanghera di 46, Francesco Zappia di 49 – ai quattro è contestata, tra l’altro, l’appartenenza a Cosa nostra – Massimiliano Iorio, 44 anni, Giuseppe Polizzi di 44, Ernesto Mirandi, 40 anni, Michele Amico, 43 anni, Giovanni Vinciguerra di 37 e il titolare di un locale, Michele Todaro di 43, passato da estorto a presunto favoreggiatore. I dieci imputati (assistiti dagli avvocati Danilo Tipo, Davide Anzalone, Ernesto Brivido, Sergio Iacona, Walter Tesauro, Gianluca Firrone, Dino Milazzo, Davide Schillaci, Luigi Di Natale e Sergio Scollo) sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsioni, associazione finalizzata allo spaccio e singoli episodi di vendita di droga.
E in tribunale, un primo imprenditore del settore edile ha pure sostenuto di non conoscere nemmeno i suoi ipotetici estorsori, ossia Bontempo e Puzzanghera. «In passato ho denunciato chi ha avanzato richieste, lo avrei rifatto denunciato anche in questo caso», ha spiegato ai giudici. Secondo l’accusa avrebbero tentato di costringerlo a effettuare lavori gratuitamente in favore di Puzzanghera. Un commerciante d’auto, per i pm, sarebbe stato costretto a versare a Meli 400 euro per il mantenimento degli affiliati alla cosca che erano detenuti.
L’esercente ha chiarito che si sarebbe trattato di una provvigione per la mediazione su una compravendita di un furgone e che 300 euro erano stati già pattuiti. Il tentativo di estorsione sarebbe legato alla restante parte che, peraltro, poi non ha neanche sborsato. E i cento euro in più non li ha neanche sborsati. Un lavaggista, per l’accusa, sarebbe stato costretto a cedere a un prezzo imposto la sua attività ad Amico. E Bontempo avrebbe vestito i panni di paciere dopo una lite tra i due.