"E' stato tanto il dolore di quegli anni che quasi ho rimosso tutto dai miei ricordi". Così ha esordito uno dei presunti "pastori-schiavi" che per tre anni e mezzop e anche più sarebbe stato sfruttato da un allevatore nisseno, il 57enne Salvuccio Pirrello (difeso dall'avvocato Davide Anzalone) chiamato a rispondere di sfruttamento di clandestini e, dell'imputazione, assai più pesante di riduzione in schiavitù. E lui, uno dei due testi chiave in aula, insieme al fratello, dopo aver dato forfait più volte ieri sono arrivati scortati dai carabinieri. Perché il giudice ne ha disposto l'accompagnamento coattivo. Sono due fratelli albanesi, uno dei quali (assistito dall'avvocato Sandro Valenza) s'è poi costituito parte civile nel procedimento che ne è derivato a carico dell'imprenditore. Lui che una prima volta è stato rinviato a giudizio dinanzi al tribunale. Ma nel frattempo, quando la prima parentesi giudiziaria era già partita, è sopravvenuta una modifica alla normativa che ha fortemente inasprito le pene per il reato di riduzione in schiavitù, prevedendo da minimo di 8 anni a un massimo di 20 di reclusione. "Sono stato in Italia a lavorare per lui dal 2004 al 2008" ha sostenuto uno dei testi, mentre l'altro ha spiegato "di essere arrivato nel dicembre 2007". Proprio sul presunto periodo di lavoro la difesa ha sollevato perplessità perché l'azienda agricola di contrada Marcato D'Arrigo, con allevamento di ovini, quella che faceva capo a Pirrello, dopo nel 2004 è stata posta sotto sequestro e fino al luglio del 2007 è stata sotto la gestione di un amministratore giudiziario. Ieri tra le versioni dei due fratelli sarebbe emersa qualche piccola differenza, anche rispetto alle precedenti versioni. Quelle rese agli inquirenti diversi anni addietro. Già perché in passato avrebbero riferito che sarebbero stati costretti a vivere, mentre si trovavano alle dipendenze dell'imprenditore nisseno, in una stamberga. Ora hanno spiegato che si trattava di una casupola tre metri per tre con paglia per dormire e solo un cucinino da campo "mangiavamo una volta al giorno", ha asserito uno di loro. Mentre il fratello ha aggiunto: "Pirrello ci dava da mangiare poi ci toglieva i soldi. E in tema pagamenti, uno dei due ha sostenuto "di essere stato pagato 500 euro al mese per i primi due anni, poi terzo e quarto anno nulla…badavo al suo gregge di 600 pecore". Poi il fratello, colui che sarebbe arrivato in quell'azienda nel dicembre del 2007, ha aggiunto che al suo arrivo il gregge fu diviso a metà tra lui e il fratello. La vicenda ora al centro del procedimento ha tratto linfa da un'ispezione dei carabinieri effettuata nell'azienda di Pirrello nel gennaio 2008. (Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia)