Pubblicato il: 14/05/2021 alle 17:15
Più volte ci siamo soffermati su come la giurisprudenza abbia dovuto riconoscere spazio alla tecnologia, ormai parte integrante della nostra società. E in questo senso è intervenuta, a conferma la decisione di oggi della Cassazione che ha ritenuto la chat di WhatsApps prova in caso di separazione. Per gli ermellini lo scambio di sms su WhatsApp tra moglie e amante prova l’anteriorità del tradimento rispetto alla crisi coniugale: al marito l’addebito della separazione per colpa delle parole d’amore scritte in chat all’amante. E ciò perché non riesce a disconoscere la veridicità dei messaggini: per escludere l’efficacia probatoria bisogna allegare elementi che attestano come la realtà dei fatti non corrisponda a quella riprodotta.
Sono rigide, poi, le preclusioni processuali: non è negli scritti conclusionali che si può contestare che i messaggi siano stati realizzati in modo artificioso dalla controparte. È quanto emerge dall’ordinanza 12794/21, pubblicata il 13 maggio dalla sesta sezione civile della Cassazione. Niente da fare per il marito: diventa definitiva la decisione secondo cui è stata la sua «relazione fedifraga» a rendere intollerabile la convivenza con la moglie, che pure abbandona la casa coniugale prelevando i soldi dal conto in banca. E ciò perché non risulta smentita la valutazione secondo cui le «frasi amorose» ritrovate sullo smartphone dimostrano l’esistenza della «relazione sentimentale» tra l’uomo e l’altra, il tutto a «insindacabile giudizio» della Corte d’appello di Firenze.
Inutile per l’interessato contestare di non essere l’autore dei messaggi: . In ogni caso la circostanza risulta emersa anche dal percorso di mediazione familiare non andato a buon fine: l’uomo avrebbe ammesso di non poter lasciare l’amante. Non gli resta che pagare le spese di giudizio e il contributo unificato aggiuntivo. Secondo la Corte di Cassazione, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, i messaggi sono fonte di prova in giudizio. La circostanza che gli sms possano costituire un’utile fonte di prova in giudizio è un principio che è ormai consolidato nelle aule di giustizia, suffragato anche dall’avallo dato da alcune sentenze della Cassazione.