Pubblicato il: 22/10/2014 alle 07:15
Nelle scorse settimane, in occasione della giornata internazionale del coming out, con il supporto della piscologa Jenny Vendra, abbiamo approfondito le fasi che accompagnano una persona nel suo processo di emersione identitaria. (Leggi tutto….)
A seguire le sue considerazioni sul perché fare il coming out e le forme di comunicazioni che si generano.
Superare il doppio vincolo, perché fare coming out? Innanzitutto perché l’individuo si costruisce nel rispecchiamento comunicativo con il suo gruppo di appartenenza, inoltre tale comunicazione nasce dall’esigenza di coerenza nelle relazioni della propria vita: l’individuo si trova immerso in un contesto relazionale che assume la sua eterosessualità: ciò genera un forte vissuto di disagio generato dall’incoerenza chiamato dissonanza cognitiva. La difficoltà nel dichiarare la propria omosessualità che spesso sfocia in meccanismi di diniego o nascondimento del proprio orientamento sessuale è in alcuni contesti familiari il risultato di quello che Bateson chiama “doppio vincolo”(double bind). Si tratta di una dinamica relazionale in cui la comunicazione tra due individui uniti da una relazione emotivamente significativa (es. madre-figlio), presenta una incongruenza tra il livello del discorso esplicito (verbale, quel che vien detto) e un altro livello comunicativo, il non verbale (gesti, atteggiamenti, tono di voce): in tale situazione il ricevente del messaggio non riesce a decidere a quale messaggio comunicativo rispondere visto che i messaggi si contraddicono. Nelle famiglie di molti soggetti omosessuali i genitori inviano ai figli messaggi verbali di richiesta di intimità, apertura, conoscenza reciproca ma sul piano non verbale si inviano messaggi che proibiscono al familiare omosessuale di essere ciò che non potrebbe essere accettato dall’altro, scoraggiando cosi ogni forma di comunicazione sulla propria omosessualità. In queste famiglie si invia un messaggio che comunica il seguente paradosso: devi dirmi tutto di te, ma non dirmi che sei gay; se ci vogliamo bene devo conoscerti ma se ti conosco non ti amerò più!
Quanto più intima sarà la relazione con un'altra persona (genitore, fratello ecc.), tanto più minacciosa sarà l’idea di una sua condanna e di un suo disprezzo: nascono cosi rapporti familiari improntati al segreto alla dissimulazione. Si parla di coming out silenzioso dove la comunicazione della propria omosessualità avviene attraverso indizi ambigui, seguite da semismentite. In molte famiglie in realtà le persone coinvolte sono già giunte a una comprensione dell’omosessualità dell’altro tuttavia permane il clima del segreto e sull’argomento non è mai avvenuta una conversazione chiara: è qui che il segreto dell’omosessualità scava un fossato di solitudine e di assenza di intimità intorno all’individuo. Il coming out vuole proprio rompere questo silenzio per ristabilire una comunicazione intima.
Il coming out, in conclusione, è un meccanismo psichico profondo che attiene alla definizione di sé, alla propria identità che non corrisponde in modo limitato all’orientamento sessuale o all’attrazione sessuale: piuttosto l’orientamento sessuale di un soggetto contribuisce a ridefinire e ristrutturare la propria identità alla luce di questo nuovo dato. Tuttavia da vari studi pare che l’esigenza di definire questa differenza nasca solo in risposta ad un contesto altamente discriminatorio ed eterosessista che necessità di categorie sociali definite minoranze omosessuali da contrapporre ad una maggioranza eterosessuale. Judith Butler sostiene che l’ordine sociale incasella gli individui secondo ruoli disponibili con cui identificarsi che offrono identità forti e permesse o identità devianti o abiette. Potremmo addirittura immaginare che in un contesto in cui non avesse rilevanza il fatto che un individuo sia attratto da uomini o da donne, la necessità di definire un identità sessuale non sarebbe necessaria ma anzi sarebbe un tratto marginale rispetto la definizione di una propria identità.
Giornata nazionale del “coming out”: quando l’omosessualità esce fuori dall’armadio