Pubblicato il: 16/04/2014 alle 09:26
La diffamazione via Facebook si realizza anche se avviene in forma anonima. Lo sottolinea la Cassazione, nell'annullare l'assoluzione accordata a un maresciallo della Gdf di San Miniato che sui social network aveva offeso la reputazione di un collega, pur senza nominarlo, esprimendo giudizi poco lusinghieri sul suo conto. Su Fb il finanziere aveva scritto di essere stato “defenestrato a causa dell'arrivo di un collega raccomandato e leccaculo… Ma me ne fotto per vendetta…”.
Il finanziere, condannato a tre mesi di reclusione militare (con i doppi benefici) per diffamazione pluriaggravata, era stato assolto dalla Corte militare d'appello della capitale dato l'anonimato delle offese sul social network che impediva di arrivare al diretto interessato. Contro l'assoluzione ha fatto ricorso con successo il pg presso la Corte militare d'appello di Roma sostenendo che, al di là dell'anonimato delle offese, le frasi erano circolate su un social network con la conseguente diffamazione per il diretto interessato.
La Quinta sezione penale ha giudicato “fondato” il ricorso del pm e, rinviando il caso al giudice d'appello, ha osservato che “il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente, ai fini della valutazione, che non può non tenersi conto nell'utilizzazione del social network, come la stessa Corte ha rilevato, a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti alla Gdf, né in concreto la circostanza che la frase sia stata letta solo da una persona”.