Quanto accaduto lo scorso 16 febbraio è ormai cosa nota a tutti. A partire dal giorno successivo (quello di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DL 16 febbraio 2023, n. 11) non è più concessa alcuna forma di utilizzo diverso dei bonus fiscali dalla detrazione diretta delle spese sostenute. In estrema sintesi, sono state cancellate le opportunità di cessione del credito e di sconto in fattura maturate a seguito di interventi edilizi, impiantistici e accessori.
Si badi bene, la vittima in questione non porta solamente il nome di “Superbonus 110”. Sarebbe stato un tonfo troppo modesto per l’attuale governo, che invece preferisce esagerare e presentarsi al cospetto dell’intero indotto edilizio armato fino ai denti. La metafora potrebbe risultare spropositata, ma quando in una sola notte vengono cancellati con un colpo di spugna tutti i bonus attualmente in vigore, senza nessun preavviso, il peso delle parole scelte comincia ad assumere la giusta dimensione.
Lungi dal voler in questa sede addentrarci nella cronistoria dettagliata della normativa di riferimento, ci sembra comunque doveroso accennare alcuni passaggi per mettere meglio a fuoco la situazione odierna. L’articolo 121 del decreto rilancio (34/2020) ha permesso ai soggetti che sostengono spese per interventi ammessi, la possibilità di optare, in luogo dell'utilizzo diretto della detrazione, per un contributo sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi (cd. sconto in fattura). Tale meccanismo, visto dal lato committente/cittadino, ha prodotto due immediati vantaggi: il primo è quello della liquidità necessaria per sostenere i lavori, sensibilmente ridotta in base alla percentuale di sconto in fattura legata alla tipologia di intervento. Il secondo è quello dell’ampliamento della platea degli aventi diritto: non essendo quello del recupero (in parte o in toto) della spesa sostenuta un tema legato alla propria capienza fiscale, lo status economico non era più una discriminante per la piena fruizione dei bonus.
Sicuramente il sistema ha espresso delle criticità e delle distorsioni che nell’arco di due anni sono state spesso affrontate dal governo Conte II e dal governo Draghi con poca incisività. A titolo di esempio possono essere citate: la non tracciabilità dei crediti e delle varie cessioni (solo in un secondo momento limitate e affidate in parte a soggetti specializzati come istituti bancari e assicurazioni), il ruolo assolutamente passivo dello Stato di fronte ad una situazione speculativa sulle forniture (in cui il caso italiano è stato soltanto un aggravio di una già difficile e instabile situazione mondiale), l’incapacità di limitare la spirale al rialzo dei tassi di interesse applicati all’acquisto dei crediti, il paradosso di permettere interventi di efficientamento energetico su edifici con una precaria condizione strutturale ecc.
Se da un lato però è doveroso sottolineare gli aspetti che non hanno funzionato, dall’altro è necessario marcare alcuni dei risultati raggiunti. Il più eclatante è sicuramente quello del PIL: +6,7% nel 2021, +3,9% nel 2022 (dati Istat). Il dato aggregato del biennio pone l’Italia ai vertici dei Paesi Europei e a livelli pre-pandemia. Oltre a questo aspetto, ve ne sono altri più difficilmente misurabili ma sicuramente di grande impatto: innanzitutto la necessità di dimostrare la spesa ottenuta con la presentazione delle relative fatture ha certamente ridotto il volume dell’evasione fiscale nell’indotto dell’edilizia. Lo stesso indotto, oltre che dai grandi imprenditori che hanno visto sicuramente aumentare i propri fatturati, è formato da una miriade di operai, dipendenti, installatori, piccoli fornitori, professionisti e collaboratori vari facenti parte del ceto medio, con una importante propensione al consumo. È facile quindi immaginare un considerevole ritorno della spesa sostenuta dallo stato sotto forma di maggiori entrate di imposte grazie ad un effetto espansivo del meccanismo. Proprio per questo motivo, nonostante l’obbiettiva difficoltà di effettuare una stima precisa, sembra molto più realistica la cifra fornita da Giuseppe Conte (spesa di 88 € / cittadino) rispetto a quella di Giorgia Meloni (spesa di 2000 € / cittadino).
Al di là delle sterili battaglie più mediatiche che politiche sui numeri, è innegabile che dietro a percentuali, decreti legge e asseverazioni vi è un mondo di lavoratori a vario titolo che è stato messo in ginocchio dallo scellerato agire del governo Meloni. Tantissime imprese hanno effettuato investimenti e acquisti pianificando con largo anticipo i mesi a venire, tantissimi professionisti si ritroveranno con progetti in fase di ultimazione che non verranno mai pagati col blocco dei lavori, tantissimi lavoratori vedranno sempre più concreto lo spettro del licenziamento causato da un improvviso crollo del volume d’affari dell’azienda di cui fanno parte.
Alla fine di questa triste storia sembrano essersi delineati con sempre maggiore chiarezza vittime e carnefici. A questo punto manca solo il movente. Perché questo governo non ci ha ancora fatto capire la direzione economica che vuole intraprendere (forse la flat tax continuando a togliere ai deboli per dare ai ricchi?). Qualcuno potrà obiettare dicendo che non c’è nessun delitto, perché i bonus esistono ancora sotto forma di detrazione, facendo finta di non sapere che senza la possibilità dello sconto in fattura, soltanto una piccola percentuale di cittadini potrà permettersi di sostenere le spese necessarie e avere la capacità fiscale per detrarle in pochi anni.
A prescindere dalle motivazioni, e dalle ipotesi la cui validità potrà essere verificata soltanto nei mesi a venire, quello che risulta inaccettabile da un punto di vista economico, politico e morale, è l’assoluto disprezzo dimostrato nei confronti del lavoro e dei bisogni di milioni di cittadini. Uno stato democratico non può permettersi il lusso di cambiare le carte in tavola, quando il gioco è entrato nel vivo già da un pezzo. Se dio non gioca a dadi con l’universo, non vediamo il motivo per cui lo stato italiano possa permettersi di farlo coi cittadini. Utilizzando tra l’altro dei dadi truccati.
Ed è ancora più assurdo che oggi si discuta, dopo aver approvato un provvedimento governativo, di quali possano essere le possibili soluzioni per i “crediti incagliati”, ammettendo di aver creato un enorme danno. Le soluzioni andrebbero cercate prima e non dopo. Dal nostro canto grazie al lavoro dei parlamentari nazionali porteremo avanti la battaglia politica per contrastare la conversione in legge del decreto e trovare soluzioni efficaci per imprese e cittadini, perché il governo Meloni ha dimostrato in pochi mesi di non essere affidabile.
Il Segretario provinciale PD di Caltanissetta Renzo Bufalino, il Presidente dell’Assemblea provinciale PD di Caltanissetta Massimo Arena