Pubblicato il: 29/08/2021 alle 20:04
Era arrivato in Italia quando aveva 19 anni, sbarcato con un barcone sulle coste di Crotone dopo un lunghissimo viaggio via terra e via mare dall’Afghanistan. Poi era stato trasferito a Caltanissetta. Si era innamorato di questa città, dei suoi abitanti che lo avevano aiutato a integrarsi nel tessuto sociale. Così aveva deciso di portare la sua famiglia a vivere in Sicilia. Avrebbe aperto un autolavaggio. Nei giorni scorsi era partito per l’Afghanistan per sbrigare le ultime pratiche del ricongiungimento familiare con la moglie e il figlio. Era felice, perché finalmente portava la sua famiglia a vivere nel luogo dove aveva trovato una seconda vita.
L’orizzonte di una vita era lì, a due passi, adesso stroncato per sempre, all’alba di un sogno che rincorreva da anni. Ibrar, che aveva oggi 28 anni, è una delle vittime dell’attentato terroristico all'aeroporto di Kabul. Non si è salvato, non tornerà più in Italia, e neppure sua moglie, che adesso piange il giovane marito dentro un Afghanistan ritornato prigione. A piangerlo anche la città di Caltanissetta e l’associazione I Girasoli, che dieci anni fa lo aveva ospitato nei suoi centri di accoglienza. «Era un ragazzo timido e gentile, amava studiare e amava l’Italia – racconta affranto Calogero Santoro, presidente dell’associazione – Ricordo ancora quando arrivò senza niente al nostro centro, dieci anni fa. Non parlava una parola d’italiano, poi col tempo ha cominciato a impararlo, si applicava, studiava molto, amava leggere libri scolastici».
A ricordarlo anche Claudio Lombardo, coordinatore del centro Sprar che l’aveva accolto: «Era arrivato con altri due ragazzi della stessa età. Era il più fragile, il meno attrezzato tra i ragazzi che in quegli anni accoglievo nel progetto. Non era mai andato a scuola, parlava un inglese appena abbozzato. Aveva un sorriso triste, lo sguardo che celava il pensiero costantemente rivolto alla sua famiglia in Afghanistan. Faceva una gran fatica ad imparare la nostra lingua. Ripeteva in continuazione che aveva bisogno di lavorare, che doveva aiutare la sua famiglia». L’associazione I Girasoli lo aveva praticamente adottato e l’ha visto crescere.
"La sua fierezza – scrive l'avvocato Giovanni Annaloro – stroncata nell'attentato di qualche ora fa a Kabul. Un mio cliente, un nostro amico, nostro fratello. Hai camminato insieme a noi quando sei arrivato in Italia in fuga da quell'inferno che era diventata la tua terra. Hai cercato di costruirti una vita migliore e diversa. Il fortissimo richiamo della tua terra, dei tuoi affetti insieme alla criminale politica internazionale dell'occidente ti sono stati fatali. È stato un onore conoscerti e camminare insieme a te per un pezzo troppo breve della nostra vita. Addio Ibrar". (Corriere della Sera)