(Vincenzo Falci, Giornale di Sicilia) Spunta un nuovo, possibile, movente del delitto di Riesi. Una sorta di vendetta trasversale malriuscita. E, intanto, quello che era ritenuto il test chiave del processo d’appello ha fatto scena muta. Grazie alla giustizia lumaca, si è avvalso della facoltà di non rispondere in veste d’imputato di reato connesso. Questo il ruolo perché inspiegabilmente, a suo carico, un vecchio procedimento per droga è pendente dal 2018. Tant’è che la difesa ha avanzato richiesta perché la procura generale avochi a sé questa indagine per droga, per capire le ragioni di questa lentezza.
Quanto al nuovo possibile movente è stata avanzata l’ipotesi che il vero obiettivo del delitto potrebbe non essere stato Salvatore Fiandaca, ucciso a Riesi il 13 febbraio del 2018, ma Pino Bartoli, uno dei quattro imputati che ha già rimediato l’ergastolo in primo grado. Sì, perché è fratello di Calogero Bartoli, già condannato a 14 anni per il delitto di Franco Tabbì consumato il 10 dicembre 2016. La mattina dell’omicidio i due, Fiandaca e Bartoli legati da rapporto di amicizia, sarebbero stati insieme in campagna per pattuire il trasporto di alcuni paletti di vite da contrada Cipolla a un altro fondo di contrada Judeca. Ma in quei momenti, mentre un commando incappucciato veniva incontro a loro, i due sarebbero fuggiti in direzioni opposte, ma solo Fiandaca è stato raggiunto e ucciso. L’altro è riuscito a salvarsi. Al di là del reale l’obiettivo, in tale ipotesi, non dovevano rimanere testimoni. E questa voce di popolo, durante una intercettazione all’interno della caserma dei carabinieri, sarebbe stata ripresa da un familiare della vittima che, rivolgendosi a Bartoli, avrebbe pronunciato una frase del tipo «chi doveva morire dovevi essere tu».
Con Bartoli sono alla sbarra Gaetano Di Martino, Michael Stephen Castorina, Giuseppe Antonio Santino (assistiti dagli avvocati Giovanni Maggio, Vincenzo Vitello, Michele Ambra, Angelo Asaro e Adriana Vella), tutti all’ergastolo e, con loro, Loris Cristian Leonardi (avvocati Carmelo Terranova e Giada Faraci) accusato di avere procurato il fucile e condannato a 5 anni.
I familiari della vittima (assistiti dagli avvocati Walter Tesauro e Giovanni Pace) sono costituiti parti civili.