Pubblicato il: 22/04/2024 alle 10:44
(Adnkronos) – Per contrastare la denatalità serve una strategia di lungo periodo e il monitoraggio costante dei risultati. Parla da dirigente aziendale Luigi Cimmino Caserta, responsabile rapporti istituzionali di KraftHeinz Italia Plasmon, ma non è per deformazione professionale. La sua è una vera e propria ricetta. Non solo perché l’azienda per cui lavora con i suoi biscotti – e non solo – ha accompagnato milioni di italiani durante l’infanzia (e talvolta anche nell’età adulta), ma anche perché la Plasmon da anni è impegnata a diffondere un cambiamento culturale ed economico affinché chi vuole avere figli ma non se la sente sia messo in condizione di farli. Si tratta di un problema con molte radici e che quindi va affrontato da diverse angolature. Partendo da un assunto: la denatalità è un problema. Per capire perché, basta chiedersi, come ha fatto Cimmino Caserta rispondendo alle domande dell’Adnkronos, quale sia il modello che vogliamo avere nel nostro Paese: “Vogliamo avere un modello in cui l’assistenza sanitaria è garantita a tutti? In cui sarà possibile pagare le pensioni o avere una crescita del mercato del lavoro? E ancora, avere una maggiore produttività”? La denatalità, spiega il manager, “è solamente una spia rossa che sta aprendo, per fortuna, tutta una serie di considerazioni”. Obiettivi annuali, azioni continue e monitoraggio Ma a che punto siamo oggi e come ci siamo ritrovati nella situazione attuale, che vede l’Italia in pieno inverno demografico, con un tasso di natalità al 2023 pari a 1,2 figli per donna laddove il tasso di sostituzione, che consentirebbe a una popolazione di rimanere stabile, è di 2,1 figli per donna? “Purtroppo ci troviamo a gestire un momento che è frutto di qualcosa che è accaduto nel passato, cioè ragionare sempre per obiettivi di brevissimo periodo senza avere un disegno di medio o lungo periodo”. Che invece è proprio quello che serve: una visione nel tempo, in base a quella agire e poi andare “ogni anno a vedere quali sono le azioni che puoi fare per avvicinarti, e poi dopo un anno capisci se sei in linea o non sei in linea”. “Se ad esempio, come ha detto anche l’Istat, l’obiettivo potrebbe essere 500mila nuovi nati entro il 2030, va stabilito cosa facciamo ogni anno, cosa ci aspettiamo e come misuriamo i risultati anno su anno”, spiega Cimmino, sottolineando: “La Meloni ha ragione nel dire ‘noi stiamo facendo delle attività, abbiamo inserito nelle leggi di bilancio degli aiuti e dei sostegni’, però il vero punto è, cosa ci aspettiamo che accada”? Inoltre, evidenzia il manager, le azioni e l’impegno dovrebbero essere quotidiani: “Io sono d’accordo con Gigi De Palo quando dice che non dovrebbe organizzare gli Stati generali della Natalità perché dovrebbero essere un po’ tutti i giorni, perché non può essere che ci sia un momento all’anno in cui se ne parla ma poi alla fine si smette di ragionare. Se non c’è una priorità, se non c’è una cultura di andare in questa direzione è palese che fai molta fatica, ci vuole molto tempo e invece bisognerebbe mettere su una piccola task force”. Abbiamo tutti gli ingredienti, ci manca la ricetta Insomma, precisa Cimmino con una metafora che tornerà più volte durante l’intervista: “In questo momento abbiamo sul tavolo tutta una serie di ingredienti per fare un’ottima pietanza, però non abbiamo gli elementi per capire come dobbiamo metterli insieme, in quanto tempo e che cosa ci dobbiamo aspettare per ogni fase”. Un approccio manageriale di cui Cimmino è consapevole, ma che ritiene indispensabile, perché sotto questo aspetto è un po’ come se fossimo all’anno se non zero, poco di più: “Noi siamo arrivati a un punto in cui ci siamo resi conto che c’è un problema senza che alla fine abbiamo messo le basi per cercare di contrastarlo questo problema. Il vero punto è chiedere il coinvolgimento di tutti e darsi degli obiettivi annuali. E questo è decisamente il ruolo importante che le aziende possono dare perché sono abituate a ragionare in questo modo”. Eppure, il governo Meloni ha fatto una priorità della natalità e ha messo in campo diverse iniziative, come lei stessa ha ricordato durante un recente convegno romano dedicato proprio alla transizione demografica e al futuro. Un’occasione in cui ha anche sottolineato come ci siano sì ragioni economiche dietro i desolanti tassi di natalità italiani (ed europei, perché nel Vecchio Continente siamo in ‘buona compagnia’) ma soprattutto, a suo dire, culturali, ovvero una narrazione che negli ultimi decenni ha reso non fare figli una scelta di libertà e fare figli una cosa fuori moda. Ma è proprio così? Fare figli: un problema culturale ed economico A tal proposito Cimmino Caserta precisa: “Gli ambiti sono diversi perché c’è certamente un aspetto culturale, ma noi abbiamo fatto anche delle survey proprio sul target dei giovani ed emerge il punto che l’incertezza del futuro, oltre alla sostenibilità finanziaria, è vincolante e prioritaria rispetto alla scelta di fare o meno un figlio”. Continua il manager: “Dove sono d’accordo certamente con la Meloni è che bisogna cambiare la narrazione che un figlio sia un problema quando il figlio è una ricchezza, non solo per i genitori ma anche per la collettività, perché avere una forza lavoro, avere un cittadino in più, significa creare futuro anche per il Paese in cui viviamo”. “Quindi – prosegue – è il motivo anche per cui noi siamo scesi in campo da una parte per le nostre persone, cercando di mettere delle azioni con una parental policy che andasse proprio nella flessibilità, sulla genitorialità condivisa con supporti economici e sulla formazione, perché appunto, è un tema certamente anche culturale”. E se la narrazione è importante, si parte cominciando a parlarne in maniera serena: “Noi stiamo cercando di proporci anche in ambienti pubblici, istituzionali in cui ne parliamo in termini estremamente positivi, con l’impegno di voler contribuire anche un po’ al sistema Paese”.
Sempre rispettando le posizioni di chi la pensa diversamente e fa altre scelte ma, e questo è un punto su cui Cimmino insiste più volte, chi invece vuole fare figli deve essere messo in condizioni di poterlo fare: “E’ normale che ci siano persone che in autonomia decidono di non volere un figlio, però molti ci dicono ‘Vorrei ma non mi sento in condizione perché non ho fiducia nel futuro, non ho una possibilità finanziaria, non riesco a bilanciare vita privata e lavoro’, e noi quindi internamente stiamo intervenendo in questa direzione. Esternamente stiamo proponendo delle soluzioni al legislatore dicendo che le soluzioni già ci sono, occorre solo fare in modo di mettere in fila tutto”. Le aziende hanno già soluzioni da proporre Proprio dalle aziende infatti arrivano delle buone pratiche che andrebbero esportate “in modo tale che il legislatore possa catturarle come azioni per migliorare la traiettoria. Già nella legge di bilancio 2024 alcune delle azioni che sono state promosse sono esattamente in linea con quello che noi stiamo facendo come azienda. È uno di quegli ambiti in cui copiare le cose fatte bene non è vietato, anzi è raccomandato”. Tra le buone pratiche messe in campo dalla Plasmon ci sono misure davvero incisive, disegnate secondo i pilastri emersi dall’ascolto dei dipendenti. In primis la flessibilità, quindi la possibilità di conciliare il lavoro con la vita personale: smart working, permessi retribuiti per le visite mediche, lavoro 4 giorni su 5 a stipendio pieno per la donna che rientra dalla maternità. Poi la genitorialità condivisa: un’integrazione alla maternità al 100%, 60 giorni pagati al 100% per il secondo caregiver, integrazione di congedo parentale di 5 mesi al 60% per la donna. E ancora, asili nido pagati fino a tre anni di vita del bambino, e poi tutte le spese educative, sull’ordine di 4- 500 euro al mese, dai quattro ai dieci anni. Infine, per i primi 1000 giorni dei bambini è prevista una dotazione di prodotti alimentari, ovviamente aziendali. Misure che hanno risvolti positivi anche sul lavoro, sottolinea il manager: “Se vuoi persone che siano ingaggiate rispetto a quello che fanno e che identifichino anche un valore nell’azienda nella quale lavorano, queste devono sentirsi bene, quindi è palese che se tu le metti in queste condizioni hai anche persone che decisamente producono molto di più rispetto alla media”. Ma aziende come la Plasmon possono fare qualcosa anche per cambiare la narrazione culturale: “Abbiamo ad esempio fatto fare un book dove le persone sanno esattamente cosa dice la legge e anche questo a livello culturale aiuta. Poi abbiamo attivato dei percorsi personalizzati di mentoring e coaching non solo legati alla donna o al compagno che sta per diventare papà o mamma, ma anche ai manager, perché non sempre si è preparati a gestire un proprio collaboratore che sta per avere un figlio o una donna che va in maternità”. “Ecco, questo cambia la narrazione, praticamente diventa una ricchezza avere un bambino on una bambina, perché predispone le persone ad avere una maggior armonia in campo sua personale e professionale, e questo non lo sta facendo solo Plasmon, lo stanno facendo tanti”. Tanti ma non tutti: l’Italia è un Paese di piccole e medie imprese, questo può comportare maggiori difficoltà, culturali o economiche, nell’introdurre misure di welfare? “Certamente sì – spiega Cimmino Caserta -. Il punto dell’incentivo istituzionale è proprio quello”. Ovvero, arrivare a far sì che anche la piccola azienda che ha difficoltà lo faccia perché gli conviene ed è facilitato a farlo. Fare rete per incidere tutti insieme Un altro aspetto fondamentale della ricetta per contrastare la denatalità, secondo il manager Plasmon, è “evitare gli approcci a silos”, e invece fare rete, “mettendo in comune le esperienze e gli sforzi tra aziende, società civile e tutti gli stakeholder che in qualche modo possono fare qualche cosa”. Fondamentale anche il ruolo delle Regioni, perché solo attraverso loro si scende nel concreto. Proprio con questi obiettivi, Plasmon ha creato la Rete Adamo, che a febbraio ha compiuto un anno e che mette insieme aziende (coinvolte anche Chicco ed Edenred), istituzioni, società civile, mondo scientifico. Spiega Cimmino Caserta: “Quello che indubbiamente sta accadendo è che c’è un grosso movimento con molte realtà che vogliono avere un ruolo da protagonista, scendere in capo, per cambiare la traiettoria di questo Paese. Non a caso abbiamo fatto questo docufilm emozionale veramente forte, impattante, che ti dice ‘Guarda, un giorno ci sarà l’ultimo bambino, la vogliamo cambiare questa traiettoria o no?’. Per fare questo bisogna accelerare”. Il docufilm a cui fa riferimento Cimmino si intitola ‘Adamo 2050’, e immagina che nel 2050 nasca l’ultimo bambino, Adamo appunto, che si troverà nella più completa solitudine. Un tema trattato dalla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella durante il convegno romano citato prima: la rete familiare si sta assottigliando e sta diventando sempre più scarna, e questa è una perdita di relazioni sociali primarie che impoverisce la vita delle persone. Cimmino concorda: “Sono ricchezze che non hanno prezzo”. E se la premier Meloni ha detto che vorrebbe “un mondo dove essere padre non sia fuori moda, e essere madri sia un valore socialmente riconosciuto e valorizzato”, qual è invece il mondo che vorrebbe la Plasmon? “Un mondo in armonia, dove la genitorialità è condivisa e c’è apertura e accettazione verso tutte le realtà multiculturali, perché ormai c’è una realtà internazionale e l’accettazione come base. Quindi non mi sento di dire il modello debba essere uno solo”, conclude Cimmino Caserta. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)