Pubblicato il: 26/03/2024 alle 21:16
Una requisitoria fiume quella del pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla procura generale, iniziata oggi nell'aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta nell'ambito del processo sul depistaggio delle indagini sulla Strage di via D'Amelio. Dai rapporti tra il Sisde e la Procura di Caltanissetta alla gestione del pentito Vincenzo Scarantino, fino all'accusa di omertà da parte delle istituzioni. La requisitoria del pm, che è iniziata alle 10 di questa mattina e si è conclusa nel tardo pomeriggio, riprenderà il 9 aprile. Imputati del processo, che si celebra dinanzi la Corte d'Appello presieduta dal giudice Giovanbattista Tona, sono tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino, guidato da Arnaldo La Barbera, per fare luce sulle stragi. Sono accusati di calunnia aggravata dall'aver favorito la mafia per avere, secondo la procura, indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a ricostruire una falsa verità sulla strage di via D'Amelio. In primo grado, caduta l'aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”.
“Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona in particolare di Bruno Contrada. C’è un incontro che avviene il 20 luglio – ha detto Bonaccorso – all’indomani della strage, in cui c’erano Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra. Abbiamo una conferma di questa collaborazione negli appunti sull’agenda sequestrata a Bruno Contrada. La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali”.
Bruno Contrada venne arrestato con l'accusa di concorso in associazione mafiosa il 24 dicembre del 1992. In primo grado fu condannato a 10 anni, ma la sentenza fu ribaltata in appello e il funzionario venne assolto.
“Ho parlato – ha detto il pm – di rapporto singolare inquietante tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde per tre motivi: il primo perché questo rapporto era vietato per legge. Secondo il dottore Tinebra continuava in questi rapporti con il Sisde nonostante le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Mutolo che parlava del magistrato Domenico Signorino e Bruno Contrada come vicini alla mafia. Terzo motivo: cosa ha portato il Sisde rispetto all’accertamento dei fatti per accertare le responsabilità nella strage di via D’Amelio? Nulla. Anzi porterà invece quella che sarà definita la vestizione del pupo”.
“Il Sisde – continua Bonaccorso – anziché evidenziare quella che è la realtà dei fatti, cioè che Vincenzo Scarantino era un criminale di profilo bassissimo, cioè contrabbandava sigarette, fa una nota per attribuire una patente di mafiosità a Scarantino”.
“Nelle analisi delle anomalie delle indagini della Squadra Mobile il primo aspetto significativo è la collaborazione di Candura”, ha detto il pm Bonaccorso concentrandosi poi su altri aspetti delle indagini. “A Candura – continua Bonaccorso – si arriva attraverso una pista a mio modo di vedere singolare. Il 20 luglio verso le ore 13 viene rinvenuto sul luogo della strage un blocco motore. E si accerta subito che non era riconducibile a nessuna delle autovetture coinvolte nell’esplosione. Vengono fatti accertamenti e si nota che era abbinato a una Fiat 126 per la quale era stata sporta denuncia di furto dalla signora Pietrina Valenti. Cosa fanno? Intercettano la signora Pietrina Valenti per capire se è vicina ad ambiente criminali. E questa è una cosa che non ho mai capito. Perché si intercetta la vittima del furto. Cioè si parte dal presupposto che coloro che sono vicini alla strage possano aver utilizzato un’autovettura di loro proprietà. Queste intercettazioni non porteranno a nulla ma forniranno un’ulteriore tessera di quel mosaico che è il depistaggio”. Il pm ha poi ricordato due conversazioni intercettate tra Pietrina Valenti e la cognata. “Nella prima conversazione Pietrina Valenti, commentando le immagini della strage, dice che quella è la sua auto. Nella seconda parla del sospetto che la macchina era stata rubata da tale Salvatore che verrà poi identificato come Salvatore Candura. Ma ai primi di agosto emerge una ipotesi a carico di Candura e del fratello e del nipote della Valenti, Luciano e Roberto Valenti per i reati di violenza sessuale e rapina. Ci dirà il teste Ricciardi che questo arresto che viene eseguito dalla Squadra Mobile era il pretesto per accertare delle responsabilità sul coinvolgimento nella strage di Via D’Amelio”.
“Il 5 settembre – ha sottolineato il Pm – i tre vengono arrestati. Il 13 settembre Candura accusa Luciano Valenti del furto della Fiat 126 su incarico di Scarantino, a ottobre si accuserà lui stesso del furto della Fiat 126 su incarico di Scarantino. Oggi sappiamo che in realtà l’auto venne rubata da Vittorio Spatuzza e Vittorio Tutino su incarico di Graviano”.
“Non c’era nessuna buona fede. La squadra mobile e Arnaldo La Barbera quando si rapportarono a Salvatore Candura sapevano benissimo che quest’ultimo non c’entrava nulla con il furto della Fiat 126. E poi perché un soggetto che viene arrestato per violenza sessuale comincia a parlare di fatti così gravi autoaccusandosi di avere avuto un ruolo nella strage? Al 5 settembre del 1992 c'è un solo dato di cui dispone la Squadra mobile ed è la conversazione di Pietrina Valenti con la cognata, cioè la pista investigativa si basava sul nulla”
“Buona fede non ce n’era – ha aggiunto Bonaccorso – si stava spingendo Candura ad autoaccusarsi del furto della Fiat 126. Gli dicevano guarda che se non collabori ti becchi l’ergastolo, guarda che se collabori invece starai bene, con la tua famiglia. Poi a un certo punto siccome non ne vuole sapere viene picchiato”.
“Il 10 ottobre 2023 – ha continuato parlando delle ultimissime novità delle indagini – arriva sulla mia scrivania una nota in cui si dice che durante lavori di ristrutturazione alla squadra mobile di Palermo è stata trovata una relazione a firma di Maurizio Zerilli sui sopralluoghi eseguiti alla carrozzeria di Giuseppe Orofino con Vincenzo Scarantino. Io avevo chiesto l’esame di Zerilli e quest’ultimo è venuto e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Questa relazione – continua Bonaccorso – presenta delle anomalie. Intanto non sono indicati i partecipanti al sopralluogo. E’ sacrosanto diritto del pm sapere chi partecipa ad una attività di polizia giudiziaria. Secondo, non vi è un’indicazione puntuale delle attività che vengono fatte giorno per giorno. Cioè se io avessi oggi una relazione di servizio simile chiederei alla polizia giudiziaria di dettagliarmela invece è una relazione estremamente generica. Per 30 anni questa annotazione di servizio è rimasta nel cassetto della Squadra Mobile e nessuno l’ha trasmessa. Ma l’aspetto più eclatante è che c’è una difformità evidente tra gli obiettivi oggetto di sopralluogo e quelle che sono le dichiarazioni rese da Scarantino il 24 giugno1994, durante il suo primo interrogatorio”.
Poi Bonaccorso si è soffermato sull'anomala gestione di Vincenzo Scarantino quando si trovava a San Bartolomeo a Mare. “C’erano diverse anomalie nella gestione dell’allora collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino mentre si trovava a San Bartolomeo a Mare. Agli organi di polizia locale della questura di Imperia – dice Bonaccorso – era affidato il compito di protezione di Vincenzo Scarantino in quanto collaboratore, e di vigilanza in quanto detenuto. Vigilanza che comportava l'obbligo di bussare, a ogni cambio turno, per verificare che Scarantino fosse in casa. Ma qualsiasi richiesta proveniente da Scarantino doveva essere sottoposta alla squadra mobile di Palermo. Nella relazione del 14 settembre del 1994 si dava atto che il giorno precedente i poliziotti erano intervenuti nell’abitazione di Scarantino perché c’era stata una lite familiare con la moglie e aveva chiesto di avere un colloquio con gli agenti della Squadra Mobile di Palermo. A marzo per ben due volte i poliziotti bussarono alla sua porta, in piena notte, e Scarantino non rispose. E i poliziotti di Imperia si rivolgono al gruppo Falcone-Borsellino solo perché Scarantino non risponde alla porta, dunque per funzioni che spettavano a loro. I poliziotti della questura di Imperia non avevano alcun contatto con Scarantino perché gli unici autorizzati ad entrare erano quelli della squadra mobile di Palermo. Certo un comportamento anomalo questo rapporto così esclusivo tra Scarantino e il gruppo Falcone-Borsellino di Palermo”.
“Scarantino non doveva avere rapporti con nessuno perché era un falso collaboratore e soprattutto non si voleva che ci fosse il crollo psicologico del ‘pupo' costruito a tavolino. Sapevano chi avevano davanti. Scarantino era suggestionabile, era instabile e andava tenuto isolato. E questo è un altro elemento che dimostra la malafede di chi ha condotto l’indagine”.
“Ritengo imbarazzante – ha continuato Bonaccorso – il comportamento degli appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino che avevano anche negato la presenza di un telefono nella casa di San Bartolomeo a Mare. E sottolineo l’assoluta inattendibilità delle giustificazioni fornite su questa vicenda veramente assurda”. “Altro elemento eclatante – ha sottolineato il Pm – è quello relativo alle intercettazioni di Vincenzo Scarantino. I brogliacci venivano sottoscritti anche da chi non aveva ascoltato le conversazioni di Scarantino. E ancora l’interruzione delle intercettazioni mentre avvenivano le conversazioni tra Scarantino e i magistrati o appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino, che è assolutamente illegale”.
“Questo processo d’Appello è durato 6 mesi – ha concluso Bonaccorso – ma potremmo stare a parlare 6 anni. Si tratta di una tematica difficile da analizzare perché i vari processi e le varie indagini si sono caratterizzati per numerosissime omertà istituzionali, vergognose, che si sono verificate nel corso degli anni, e mi riferisco a magistrati, esponenti delle forze dell’ordine ed esponenti politici. E’ una tematica difficile anche per la durata, visto che le indagini durano da oltre trent’anni. Ma quello che a mio di vedere, in una sentenza non si può scrivere, è quello che si è scritto nei confronti di Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, cioè che non sono responsabili, è inaccettabile, soprattutto alla luce del materiale probatorio fornito. Perché a dispetto dalle omertà istituzionali e degli anni trascorsi i procuratori Gabriele Paci e Stefano Luciani sono riusciti a squarciare il muro di gomma facendo luce su nuovi aspetti delle stragi, fornendo un materiale probatorio eccezionale”.