Pubblicato il: 16/09/2014 alle 16:15
Non si archivia l’inchiesta legata al suicidio di Giuseppe Di Blasi, l’operaio nisseno di 46 anni impiccatosi nella cella del “Malaspina” il 27 dicembre del 2011. Lo ha deciso il Gip di Caltanissetta Francesco Lauricella, che ha respinto l'istanza della Procura di chiudere il procedimento per omicidio colposo contro ignoti e che di contro ha trasmesso gli atti al pubblico ministero perché a suo parere devono essere indagati i medici del centro di diagnosi e trattamento del carcere di Messina, dove l'ex operaio del canile era stato recluso per un periodo.
Giuseppe Di BlasiIl sostituto procuratore Elena Caruso, nella sua richiesta, non aveva riscontrato negligenze né omissioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria né da parte della direzione del carcere e dei medici. La pensavano diversamente i familiari del detenuto che, attraverso l'avvocato Massimiliano Bellini, che si erano opposti alla richiesta della Procura sostenendo che il suicidio poteva essere evitato se Di Blasi avesse ricevuto l’adeguata assistenza medica e psicologica considerato che per ben quattro volte il nisseno aveva tentato di uccidersi, tra cui il giorno precedente al ritrovamento del suo cadavere penzoloni dalle sbarre della cella. Di Blasi era detenuto per violenza sessuale su una minorenne, e in primo grado era stato condannato alla pena di 17 anni.
Tesi, quella esposta dal difensore, che il giudice per le indagini preliminari ha accolto, ritenendo che “emergono potenziali profili di responsabilità in ordine ai professionisti medici che ebbero in cura Di Blasi sia presso il carcere di Messina e presso il Centro di diagnosi e trattamento” che “dovevano intervenire con adeguati sostegni psichiatrici sul paziente detenuto, sostegno che avrebbe dovuto e potuto essere risolutivo ove negato”. Adesso sarà il pubblico ministero a compiere il passo successivo: identificare i medici che seguirono Di Blasi sotto il profilo clinico e iscrivere i loro nomi nel registro degli indagati.
carcere giustizia detenuto polizia penitenziariaL’avvocato Massimiliano Bellini aveva allegato agli atti del dossier una corposa documentazione in cui evidenziava numerose lacune anche nella tipologia di sorveglianza del detenuto gestita dalla Polizia Penitenziaria. Un’indagine difensiva che s’è avvalsa della collaborazione di periti psichiatrici e medici legali che hanno contestato le conclusioni esposte nelle relazioni cliniche elaborate dai consulenti della Procura.
Visite mediche non eseguite o svolte con ritardo dopo diversi mesi, somministrazione dei farmaci poco efficace e confusa, irregolare frequenza dei controlli psichiatrici su un detenuto a rischio, mancata applicazione della sorveglianza a vista di Giuseppe Di Blasi piuttosto che la grande sorveglianza. Ecco, secondo il difensore della famiglia Di Blasi, le omissioni che devono avere uno o più responsabili. Peraltro una perizia disposta dalla Corte d’Appello che stava processando Di Blasi per gli abusi sulla ragazzina aveva suggerito il trasferimento del detenuto in una struttura sanitaria del circuito penitenziario perchè il nisseno fosse sottoposto ad un “trattamento farmacologico meglio gestito”.