Pubblicato il: 07/04/2014 alle 10:55
La conferenza stampa
“Lo Stato, seppur dopo tanti anni, ha vinto ancora una volta e gli arresti di oggi dimostrano che non dimentica le vittime della mafia”. Esprime soddisfazione il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, illustrando i retroscena dell'inchiesta che ha portato all'incriminazione di 12 mafiosi nisseni accusati di avere avuto un ruolo nell'omicidio dell'imprenditore Francesco Pepi, ammazzato davanti al circolo degli agricoltori la sera del 14 febbraio 1989 a Niscemi. Pepi – la cui figlia Franca oggi presiede l'associazione antiracket “Rosario Livatino” – era titolare di una grossa azienda di agrumi e carciofi, slegato da ambienti e amicizie malavitose ma ostinato a denunciare il malaffare e le irregolarità. Ribellandosi innanzitutto al pizzo e poi intimando ai concorrenti commerciali di munirsi delle autorizzazioni necessarie per non essere fuori regola, altrimenti li avrebbe denunciati.
“Non è stato un lavoro facile rispolverare vecchi documenti e reperti per comporre il puzzle e ricostruire questi fatti delittuosi”, ha aggiunto Lari elogiando l'attività investigativa e la tenacia dei poliziotti della Squadra Mobile e del dirigente, Marzia Giustolisi.
Pepi, come rivelato dai pentiti, fu ucciso da Alessandro Barberi, il consuocero del boss Piddu Madonia e ritenuto il nuovo reggente provinciale di Cosa Nostra nel Nisseno dopo la scarcerazione avvenuta un anno fa. Barberi è tornato in carcere il mese scorso dopo il blitz “Fenice”. Il capomafia era stato assolto per la strage Brigadieci ma ora su di lui pende l'accusa di omicidio. “Barberi è il Bernardo Provenzano de Nisseno, una figura autorevole, sottovalutata però dai mass media”, ha aggiunto il questore Filippo Nicastro.
Da tempo il pool inquirente della Dda nissena sta rispolverando delitti insoluti avvenuti nel Nisseno, soprattuto durante la faida mafiosa degli anni '90 esplosa a sud della provincia. Fascicoli che sono stati riaperti dopo la collaborazione di boss e picciotti di Cosa Nostra e Stidda, vecchie e nuove leve che hanno saltato il fosso, sepolti da ergastoli, condanne e confische di beni. Impossibile al momento avere una casistica dettagliata sui morti ammazzati su cui si sta indagando. “Ci sono stati circa 400 morti durante la guerra di mafia, ma ci stiamo impegnando per risolverli. E' un lavoro complicatissimo che richiede tempo”, ha spiegato ancora Sergio Lari. Ma è stata il procuratore aggiunto Lia Sava ad illustrare la metodologia investigativa per la soluzione dei cosiddetti cold case. Nella disponibilità degli uffici giudiziari, infatti, v'è una banca dati che racchiude le dichiarazioni di tantissimi collaboratori di giustizia che seppur in tempi passati hanno fornito dettagli sui fatti di mafia, su tutti gli omicidi.
“Esiste grande coordinamento e un reciproco scambio di informazioni fra i nostri sostituti – ha detto Sava ai cronisti – e basta inserire una parola chiave per avere un quadro di dichiarazioni anche datate che vengono messe a confronto con quelle recenti. La sola comparazione di informazioni però non basta, perché a questo va abbinato un lavoro di polizia giudiziaria intelligente capace di leggere le carte, gli atti, analizzare i reperti e verificare eventuali coincidenze o contraddizioni. Questo è un metodo investigativo eccellente sul quale la Squadra Mobile di Caltanissetta sta egregiamente lavorando e continueremo su questa strada”. Sava, arrivata a Caltanissetta da un anno e proveniente dalla Procura di Palermo, inoltre s'è soffermata su un dato interessante. L'elevato numero di mafiosi e criminali, certuni anche di spessore, che in questi anni hanno deciso di collaborare con i magistrati dell'Antimafia nissena. “Con il loro contributo – ha detto – stiamo dando risposte ai delitti insoluti”.
Il capo della Mobile, Marzia Giustolisi, ha elogiato il lavoro dei suoi “ragazzi” che sono andati alla ricerca di faldoni sui delitti Pepi, Vacirca e Campione, incrociando il contenuto delle relazioni investigative dell'epoca con le dichiarazioni dei pentiti.