Pubblicato il: 12/07/2014 alle 10:19
Alberto Cammarata
Licenzia un dipendente e si rivolge alla mafia per “mettere a tacere” l'ex operaio che intanto gli aveva intentato una causa di lavoro per ingiusto licenziamento. Accade a Gela dove la Squadra Mobile ha arrestato un noto imprenditore del settore edile. Si tratta di Alberto Cammarata, 44 anni, titolare della Unicam srl, finito in manette con un suo presunto complice, un collaboratore della sua stessa azienda, Carmelo Migliore di 45 anni. La vittima è invece Emanuele Orazio Antonio Granvillano. Le ordinanze sono state emesse dal gip David Salvucci su richiesta del Procuratore Onelio Dodero della DDA nissena. A Migliore sono stati concessi i domiciliari. Entrambi dovranno rispondere di tentata estorsione in concorso tra loro e di danneggiamento aggravato da motivi futili.
Secondo quanto ricostruito dalla Polizia, l'imprenditore Cammarata si sarebbe rivolto al gruppo mafioso che fa capo a Giuseppe Alferi per “risolvere”, a suo dire, la vicenda lavorativa finita sul tavolo del Tribunale del suo ormai ex dipendente. La vittima, per queste ragioni, subì l'incendio della villa  di contrada Cucinella, nella zona del Castelluccio. Il rogo si verificò il 5 dicembre del 2010.
Carmelo MiglioreSecondo gli inquirenti ad appiccare le fiamme sarebbe stato Emanuele Cascino, oggi collaboratore di giustizia che ha rivelato i contorni di questa inquietante vicenda, dopo aver ricevuto ordini personalmente da Carmelo Migliore. Quest'ultimo, per la mediazione, avrebbe ricevuto la somma di 800 euro dal suo datore di lavoro, Alberto Cammarata.
Gli investigatori sono riusciti a chiudere il cerchio su questo fatto grazie ai riscontri emersi dalle dichiarazioni della vittima e dal pentito  Cascino, appartenente al clan Alferi di Gela. Dichiarazioni che sono combaciate con quelle rese agli inquirenti dal fratello di Alberto Cammarata, Francesco che nel giugno 2013 denunciò il comportamento sospetto del fratello col quale aveva chiuso ogni rapporto personale e di lavoro.
Emanuele Cascino ha rivelato “impressionanti dichiarazioni” come le definisce la Squadra Mobile di Caltanissetta. Sarebbe infatti emerso che l'uomo, fedelissimo del sodalizio di Alferi, avrebbe bruciato su “ordinazione” più di 80 auto in città. Il sistema era semplice. Il boss Giuseppe Alferi, riceveva le richieste sia da persone comuni che da gruppi malavitosi, in un sistema che funzionava da “vera e propria agenzia di servizi criminali, pronta a commettere dietro ricompensa qualsiasi reato”, dopodiché si procedeva ad appiccare il fuoco.