Ci sono gli stipendi di manager, impiegati, sindaci, prefetti e non mancano le buste paga di cardinali, vescovi e preti. Non tutti lo sanno, ma anche gli uomini di Chiesa, che, tra mense per i poveri, centri di ascolto e oratori, contribuiscono (e non poco) al welfare nazionale, percepiscono una retribuzione. Più o meno alta (da 750 a 4.500 euro circa), a seconda dell’anzianità di servizio e soprattutto del ruolo che occupano nella Gerarchia ecclesiale, termine estraneo al Vangelo entrato tuttavia nel lessico canonico a partire dal V secolo d.C. ad opera del misterioso Pseudo Dionigi.
Con riferimento ai chierici italiani, dal Medioevo sino alla riforma del Concordato del 1984 il sostentamento del clero si basava sul cosiddetto sistema beneficiale. In pratica ad ogni ufficio ecclesiastico (diacono, parroco, vescovo) si accompagnava un beneficio, cioè un insieme di beni (per esempio, terreni e case in locazione) attraverso il quale avveniva il sostenimento dello stesso incarico. In seguito all’Unità d’Italia (1861), al fine di garantire sempre un minimum idoneo ad assicurare una vita dignitosa agli ecclesiastici, qualora il beneficio stesso fosse insufficiente sotto questo profilo – molti terreni e residenze della Chiesa vennero confiscati dalle autorità civili –, lo Stato interveniva in soccorso attraverso il Fondo per il culto che pagava un supplemento al parroco (congrua) nell’ottica di colmare eventuali discrepanze.
Oggi il modello beneficiale è stato completamente abbandonato: le buste paga di diaconi, preti e vescovi italiani sono erogate dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero (Icsc), un organo della Cei (Conferenza episcopale italiana) il cui compito è quello di gestire gli stipendi di diaconi, preti e vescovi. Come? Attraverso un articolato sistema a punti e attingendo principalmente dall’8 per mille al quale si aggiungono le offerte liberali e le rendite integrate degli istituti diocesani per il sostentamento del clero.Ma in definitiva, quanto guadagnano i chierici con un incarico in una delle 226 diocesi italiane? Andiamo con ordine e partiamo dal basso, dal diacono.
Chi occupa il primo gradino dell’ordine sacro potrà diventare successivamente prete e (chissà) vescovo, a patto che non sia sposato altrimenti è destinato a restare diacono permanente, un ministero recuperato dal Concilio Vaticano II (1962-1965) e non precluso ai celibi. Matrimonio o meno, chi assolve al diaconato – tra l’altro può battezzare e presiedere la Liturgia della Parola – percepisce uno stipendio pari a 1.200-1.300 euro al mese (quanto i parroci), fatto salvo che non abbia altre fonti di reddito conseguenti ad altra occupazione.Saliamo al secondo livello dell’ordine sacro: il presbiterato. Trattandosi di preti, occorre fare subito una rapida distinzione tra chi è un mero sacerdote e quanti, invece, sono responsabili di una comunità di fedeli disposta su una porzione della diocesi (la parrocchia).
Mentre il semplice prete si deve accontentare dello stipendio di un operaio (circa mille euro al mese, ma se è a inizio carriera si ferma a 750), il parroco intasca 1.200-1.300 euro. Si tratta comunque di cifre suscettibili di sensibili adeguamenti in relazione all’anzianità di servizio del presule o al conseguimento di particolari onorificenze (monsignore e altro).Da prete a vescovo il salto è notevole, anche sotto il profilo economico. Conti alla mano l’ordinario di una diocesi guadagna fino a 3mila euro al mese. Ovviamente sia i vescovi, sia i parroci, salvo che non facciano scelte differenti, non hanno da preoccuparsi dell’alloggio: il palazzo vescovile, per il primo, la canonica, per il secondo, sono a loro disposizione. Passiamo Oltretevere.
Come è noto, chi elegge il Papa sono i cardinali. Per la precisione quelli under 80. Sono loro formalmente i titolari delle basiliche e delle parrocchie della Capitale e, proprio in quanto tali, eleggono (con l’aiuto dello Spirito Santo) il vescovo di Roma, denominato Papa solo dalla fine del IV secolo, regnante tale Siricio. Originariamente clero e popolo partecipavano a questa ’elezione, poi la partita è stata confinata nelle mani dei soli preti e inseguito – la riforma risale a papa Niccolò II nel 1059 – è diventata esclusiva dei cardinali, in rappresentanza dell’intero clero capitolino. Va da sé che l’entrata in Cappella Sistina sia qualcosa da far tremare i polsi. Un onere e un privilegio ben remunerati, in pratica da 4mila a 4.500 euro, corrisposti dalla stessa Santa Sede o dalla Cei, a seconda che i porporati siano curiali o vescovi diocesani. Ad essere puntuali, i cardinali al lavoro entro le mura leonine percepivano anche di più prima della stretta sugli stipendi dei vertici di Curia romana (-10%) impressa da papa Francesco nel 2021 nell'ottica di far quadrare i conti delle casse vaticane.
E le suore e i frati? Quanto guadagnano? Salvo che non esercitino una professione al di fuori della Chiesa – tipo l’insegnante di Religione -, restano a bocca asciutta. Non beneficiano di alcun stipendio. D’altronde, si sa, emettono un voto di povertà. E questo si paga. (di Giovanna Panettieri, Quotidiano.net).