Pubblicato il: 11/02/2023 alle 10:11
Non riuscivano nemmeno a camminare, tanto era il dolore, fisico e psicologico: male allo stomaco, perché avevano bevuto acqua di mare, e alle ossa. Molti avevano allucinazioni e delirio. Così gli operatori di Medici senza frontiere, descrivono lo stato dei 42 sopravvissuti sbarcati a Lampedusa il 3 febbraio dopo essere stati per 10 giorni alla deriva con 8 cadaveri. Due sono ancora dispersi: un neonato caduto in mare dalle braccia della madre morta e suo zio, che, svenendo, è scivolato dal barcone. In prima battuta s'era parlato invece del tentativo, da parte dell'uomo, di recuperare il neonato.
Msf ha svolto un primo intervento di soccorso psicologico, in collaborazione con le autorità locali e nazionali. Gli operatori sono rimasti con loro per 4 giorni, fornito un telefono per comunicare con le famiglie, una Bibbia e un Corano per pregare. "Non è stato un naufragio in senso stretto, avevano perso la rotta e sono stati per giorni alla deriva. Pensavano di essere tutti morti, non sapevano nemmeno dove fossero – racconta Marina Castellano, responsabile medico -. Solo uno di loro ci ha raccontato che in quei momenti sapeva di dover essere presente a se stesso perché era l'unica cosa che li poteva salvare. Alla fine un peschereccio ha fornito dell'acqua e chiamato i soccorsi, la Guardia Costiera li ha salvati e portati a Lampedusa alle 2 di notte del 3 febbraio. Parlando con noi li hanno definiti 'angeli'".
"Quando le persone restano in mare così tanto tempo è talmente traumatico che molti hanno delirio, allucinazioni – spiega Mara Eliana Tunno, psicologa -. Il nostro intervento è solo un primo soccorso psicologico, per contenere le situazioni gravi, abbiamo un telefono a disposizione per chiamare le famiglie, dare le notizie sui decessi". "Sono persone anche molto resilienti – aggiunge – E' stato bello vedere i miglioramenti in due-tre giorni, anche se si tratta di un evento traumatico che porteranno sempre con sé". Per ogni persona i medici di Msf scrivono un certificato di vulnerabilità, in cui si raccomanda al Centro di attivare un soccorso psicosociale. "L'intervento non si può fermare lì – conclude Tunno – ci vogliono anni di terapia per guarire da queste cicatrici".