Non cercherò quelle parole che non riesco a trovare per parlare di un amico che non c’è più. Non cercherò parole, improvvisamente divenute vecchie, per raccontare il vuoto che ho dentro. Lui non l’avrebbe voluto. Lui che incarnava in sé la semplicità mai banale. Lui che amava andare diritto e a fondo senza mai trascendere. Lui era, è Stefano Gallo. Un collega, un giornalista che ieri ha deciso di lasciarci, ma non ci riuscirà. Non ci riuscirà perché non può cancellare con un sol gesto quarant’anni di servizio verso il prossimo, verso la sua città: Caltanissetta. Quella Caltanissetta che ha amato all’inverosimile, perché la possedeva nell’anima.
Amava tutto della sua città. Amava la sua gente, amava i suoi vicoli, amava le sue tradizioni. Particolarmente stretto al suo San Michele (tral’altro suo secondo nome) e alla sua Real Maestranza. Amava la sua Caltanissetta da sempre e il suo amore lo portò, una trentina di anni fa, con un grappolo di amici a fondare l’associazione dedicata a San Filippo per stare vicino ai deboli e ai bisognosi. Un gesto che rappresentava appieno la sua figura: il dare senza mai chiedere. E così è stato fino a ieri, ha dato e non ha mai chiesto. Sempre un passo indietro mai in avanti e avventato, anzi. A volte poteva sembrare timidezza, ma al contrario era educazione, il sapere ascoltare. Lo ha usato molto nell’essere giornalista: il giornalista. A raccontato la sua Caltanissetta in tutti i versi. Si è occupato di cronaca nera, giudiziaria, cultura e di sport. Negli anni che non ci sono più era amante della sua Robur, la mitica squadra di pallacanestro, la Nissa…la vera Nissa come amava ripetere. È stato anche arbitro di pallavolo. Nelle sue vene scorreva il sangue del cronista di razza. «Stefano puoi seguire questa notizia e scrivere questo pezzo?». «Certo» era la sua risposta e su qualsiasi argomento lo si poteva apprezzare per la sua eleganza nella scrittura.
Era divenuto nel tempo la «memoria storica» della nostra redazione. Ricordava anni di cronaca nera e giudiziaria. Bastava accennare un nome perché ci raccontasse tutto ciò che c’era da sapere. La Questura per anni è stata la sua seconda casa. Questori, funzionari ma anche semplici agenti hanno dialogato non con il giornalista ma con un amico. E come dimenticare i suoi pezzi sulla Coppa nissena di automobilismo e su Mauro Nesti il pilota che considerava il più forte di tutti.
Centinaia, migliaia di articoli hanno raccontato la storia della sua Caltanissetta. Ora mi ritrovo a scrivere della sua storia. Ma come si fa a scrivere di un amico che mi ha appena salutato? Ecco, arrivano le lacrime, più prepotenti che mai. Lui non avrebbe voluto perché la dignità innanzi tutto. Quella dignità che lo ha portato a dire sempre «tutto a posto» a che gli chiedeva «come andava?». Una dignità che lo ha contraddistinto sia da giornalista che da uomo.
Nietzsche diceva: «Vi sono perdite che comunicano all'anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti neri cipressi». Anche tu caro Stefano hai camminato in silenzio senza mai lamentarti. Ti ringrazio per avermi permesso e averci permesso di starti accanto per oltre trent’anni. Giuseppe Martorana