Pubblicato il: 04/09/2020 alle 11:00
Il microbiota intestinale nella sclerosi multipla. E' questo uno degli argomenti trattati nel corso del congresso “Highlights in Neurology”, special edition “Neuro-Covid-19”, organizzato da Michele Vecchio, presidente regionale della Società Italiana di Neurologia e primario dell’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta. L’Italia si colloca come una zona ad alto rischio per la sclerosi multipla. Le persone con sclerosi multipla sono circa 120mila: donne e uomini – le prime colpite in misura doppia rispetto ai secondi – che ricevono una diagnosi nella maggior parte dei casi tra i 20 e i 40 anni di età. La ricerca delle cause e dei meccanismi che scatenano la sclerosi multipla è ancora in corso. E il tema del microbiota negli ultimi anni sembra di particolare interesse.
Dottore Vecchio durante il primo giorno di congresso si è parlato del microbiota nella Sclerosi Multipla. Di cosa si tratta?
E’ una definizione che appartiene alla conoscenza medica da un decennio. Si è scoperto che noi abbiamo una barriera interna, che è la flora microbica intestinale, composta non solo da batteri ma anche da virus e altri microrganismi. Miliardi di esseri viventi che sono dentro di noi e che rappresentano un carattere distintivo per ogni persona. Il microbiota si associa al concetto del microbioma, vale a dire che tutto ciò non è casuale ma geneticamente determinato. Quindi ognuno di noi ha un microbioma che esprime una dimensione genetica, che si materializza poi nel microbiota che è diverso da organismo a organismo. Questo ha fatto riflettere molto, partendo dall’assioma che una stessa malattia alcune persone la sviluppano in un modo e altre persone la sviluppano in un altro. Nell’universo degli studi si è presa dunque in considerazione questa funzione. Che cosa fa questo microbiota? Serve solo a farci digerire o assorbire i cibi, a farci stare bene come omeostasi generale del nostro organismo o c’è altro? C’è qualcosa in più. La correlazione immediata per quanto riguarda la sclerosi multipla è che attraverso il microbiota c’è una modulazione di processi infiammatori del sistema immunitario, per cui quest’ultimo ne è condizionato. La sclerosi multipla ha un determinante genetico, quindi una predisposizione, e tanti determinanti ambientali, dai virus, all’inquinamento atmosferico, dalle azioni dei raggi ultravioletti alla temperatura, alla latitudine in cui si vive. Tutto questo ha a sua volta influenza sul microbiota. Quindi il microbiota, che già determina attività normale di modulazione del sistema immunitario, in un contesto dove il sistema immunitario è l’attore principale, che determina la malattia, certamente è interessato nel determinismo della malattia ma anche dei trattamenti. Per cui, per esempio, anche in questo caso un trattamento funziona e uno funziona meno o non funziona per niente.
Quali sono le speranze sul futuro della Sclerosi Multipla.
La sclerosi multipla è l’ambito delle discipline neurologiche dove il progresso farmacologico ci ha dato tantissime soddisfazioni. Basta pensare dove eravamo nei primi anni ’90 quando cominciammo ad utilizzare gli interferoni e dove siamo adesso con oltre 20 farmaci che possiamo utilizzare per tutte le forme della malattia e i tipi di malati. Perché non esiste la sclerosi multipla ma esistono i malati di sclerosi multipla cioè le persone, ognuna diversa dall’altra, con forme diverse, risposte diverse e destini diversi e torniamo al microbiota, alla genetica e alla contaminazione ambientale. Con i nuovi farmaci tutte le categorie di pazienti affetti da sclerosi multipla hanno il loro trattamento. Non era così fino a qualche anno fa quando veniva esclusa una corte di persone. Per essere precisi, visto che ci leggono moltissime persone che hanno questo problema e che si chiedono perché a loro non è stato dato un determinato trattamento, noi dobbiamo seguire protocolli e linee guida e regolamentazioni disciplinari giuridiche dettate dagli organi competenti. Cioè un farmaco si può dare a un tipo di paziente ma non ad un altro. Da presidente regionale della Società Italiana di Neurologia posso dire che stiamo lavorando su una serie di tavoli tecnici e i pazienti che hanno elevata disabilità ci dicono che non li possiamo curare. E allora il nostro sforzo è dimostrare scientificamente che anche le persone con un’elevata disabilità, quindi forme, molto poche per fortuna, avanzate di malattie, devono avere una chance farmacologica per portare avanti la loro storia.