Pubblicato il: 19/03/2025 alle 09:07
“Mi fu presentato un agente della Cia. Si chiamava Roger D’Onofrio e a presentarmelo fu Giuseppe Porto quando mi recai a Solopaca in provincia di Benevento, nello studio di Antonio D’Onofrio. Non so se fossero parenti”. Così il pentito Pietro Riggio oggi nel corso dell’udienza del processo per depistaggio a carico degli ex generali dei carabinieri in pensione Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Pasquale Pacifico. Nel processo è imputato anche Giovanni Peluso, ex poliziotto, per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il collaboratore di giustizia Riggio era un agente della polizia penitenziaria arrestato nel 1998 nell’ambito dell’operazione “Grande oriente”.
“Roger D’Onofrio era una persona sui 70 anni – ha continuato Riggio – Porto mi disse che era il nostro garante, attraverso zio Tony per quanto riguardava tutte le operazioni che si potevano fare. Stavamo iniziando una progettualità per un pastificio a Caltanissetta per dare una sorta di parvenza legale a quello che dovevamo fare in provincia. Roger D’Onofrio apparteneva alla Cia, cosa che mi disse Porto”. Il pm Pacifico durante l’esame del teste ha mostrato la foto di Roger D’Onofrio, da un album per i riconoscimenti, a Riggio che lo ha riconosciuto. Nel corso del controesame dell’avvocato del generale Alberto Tersigni, Basilio Milio, Riggio ha ripercorso l’inizio del suo rapporto con Giuseppe Porto e Giovanni Peluso, ex poliziotto imputato nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa. “Mentre mi trovavo detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere – spiega Riggio – conobbi alcuni poliziotti, detenuti anche loro. Tra questi vi erano anche Giovanni Peluso e Giuseppe Porto. Fu quest’ultimo a chiedermi se potessi dare una dritta per la cattura di Bernardo Provenzano. C’era sicuramente – ha continuato Riggio – un tornaconto per noi anche di tipo economico. Si prospettava anche un ruolo nei servizi segreti. Il mio referente in questo senso era Porto, che a sua volta parlava con zio Tony. Quest’ultimo aveva rapporti con le fonti istituzionali. Successivamente Peluso mi disse che se andava in porto il progetto di attentato al giudice Guarnotta ‘ci sistemavamo tutta la vita, altro che cattura di Provenzano'”.