Pubblicato il: 01/03/2020 alle 19:22
Nel 1346, la più grande epidemia dell’umanità, la terribile “peste nera”, dal nord della Cina attraverso la Siria, si diffuse in fasi successive alla Turchia asiatica ed europea per poi raggiungere la Grecia, l’Egitto e la Penisola Balcanica. Nel 1347 si trasmise alla Sicilia e da lì a Genova. Nel 1348 la peste nera aveva infettato la Svizzera tranne il cantone dei Grigioni e tutta la Penisola Italica, risparmiando parzialmente Milano. Dalla Svizzera si allargò in Francia e in Spagna. Nel 1349 raggiunse l’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda. Nel 1353, dopo aver infettato tutta l'Europa, i focolai della malattia si ridussero fino a scomparire. La “peste nera” uccise almeno un terzo della popolazione del continente, provocando quasi 20 milioni di vittime.
La “peste” è dunque figlia della prima grande globalizzazione. Senza la rete degli scambi internazionali, dalla Cina al Mediterraneo, il virus non si sarebbe potuto muovere. I principali vettori dell’epidemia furono i mercati, le strade, le rotte commerciali, le carovane, i porti. Ma veniamo all’attuale “coronavirus”. Anche oggi l’epidemia si diffonde attraverso i nodi nevralgici del commercio mondiale. E non deve sorprenderci il fatto che il contagio veda sempre protagonista la Cina, un centro fondamentale della globalizzazione, allora come oggi.
Nel Medioevo, a causa della “peste nera”, saltarono inesorabilmente tutti i vincoli religiosi e morali, e cominciò un’era nuova fatta di paure e disinganni. Ma gli esseri umani manifestarono comunque una grande capacità di adattamento. L’Occidente latino infatti seppe riorganizzare le sue abitudini sociali, politiche ed economiche secondo registri più complessi rispetto all’epoca precedente: dalla nascita delle confraternite per i malati alla costruzione degli ospedali alla fondazione di nuove strutture bancarie. Insomma: la storia dimostra che l’umanità, di fronte agli choc più forti, prima si adatta e poi cresce. Le crisi sono sempre occasione di opportunità. Ad ogni modo, ci colpisce il fatto che, di fronte al contagio, l’attuale forma di profilassi sia simile a quella del Trecento: l’isolamento e la creazione di un cordone sanitario intorno all’epicentro dell’epidemia. Oggi, sicuramente, è più facile aggirare, controllare il contagio.
Nel Trecento si pensava che la peste nera fosse opera del diavolo che annunciava la punizione divina con piogge di fuoco e con un diluvio di serpenti, scorpioni e altri animali velenosi. Ma anche oggi, nell’anno 2020, assistiamo alla riproposizione di terrori infondati di natura millenaristica. E non solo. Di certo è venuta meno la fiducia positivista del potere assoluto dell’uomo sull’ambiente. Siamo sempre più consapevoli che il pianeta Terra è dotato di ritmi e di equilibri suoi propri. Basta poco per sbilanciarlo. Per rompere tali ritmi ed equilibri. Oggi, tutti gli indicatori (e “i profeti di sventura”) descrivono una situazione piuttosto grave. Le variazioni climatiche potrebbero provocare bombe migratorie e significativi mutamenti nell’assetto delle aree di costa e nel nostro ambiente marino. Per dodicimila anni la Terra ci ha accolto più o meno benevolmente. Oggi non sappiamo se il pianeta sia disposto a farlo ancora, se non correggiamo radicalmente alcune nostre abitudini, alcuni nostri comportamenti.