Pubblicato il: 21/01/2024 alle 16:32
Dopo le commemorazioni di Acca Larentia del 7 gennaio scorso (via Acca Larentia è una strada del quartiere Tuscolano, nella periferia est di Roma), che si sono concluse con il saluto fascista di numerosi manifestanti schierati in formazione militare, è nuovamente tornato alla ribalta il problema della delimitazione del reato di “apologia del fascismo” – anche alla luce della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione in base alla quale è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partita fascista. Dopo alcune decisioni discordanti, a dirimere la questione è intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni riunite che, lo scorso 18 gennaio, ha stabilito che fare il «saluto romano» (o “saluto fascista”) violerebbe la legge solo se unito al «concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito».
Ma vediamo di fare chiarezza in ordine a tale controverso saluto romano, o fascista che dir si voglia. Il saluto romano d'età contemporanea venne usato per la prima volta in Italia nel 1919 dai legionari fiumani di Gabriele D’Annunzio. L'utilizzo di tale saluto – che prevede il braccio destro teso in avanti verso l'alto, con la mano tesa aperta – salderebbe il presente con la tradizione classica per la pretesa volontà fascista di rappresentare una continuità con la Roma imperiale. In realtà tale saluto non fu mai in uso ai tempi di Augusto, Vespasiano o Traiano. Si tratta dunque di una delle tante mistificazioni del “ventennio”. Nell'Italia mussoliniana, il 27 novembre 1925, con Regio decreto il saluto fascista fu adottato ufficialmente nelle amministrazioni pubbliche italiane. Renato Ricci, comandante generale dell'Opera Nazionale Balilla, con una circolare del 1928 rese obbligatorio nelle manifestazioni giovanili di partito il saluto romano, vietando la “stretta di mano”. Quindi, Achille Starace, segretario negli anni Trenta del Partito Nazionale Fascista, promosse una campagna a favore del saluto romano, affinché sostituisse completamente la stretta di mano ritenuta “borghese” e poco igienica. Ma la campagna igienico-simbolica non riuscì nel suo intento, e perfino i personaggi più in vista del regime fascista continuarono a salutare con strette di mano dopo aver porto il saluto romano di rito.
Dopo la seconda guerra mondiale, a seguito dell’istituzione della Repubblica Italiana, il gesto è stato vietato dalla legge n. 645 del 20 giugno 1952 (“legge Scelba”), successivamente modificata con la legge n. 205 del 25 giugno 1993 (“legge Mancino”), ma solo se espresso con l’intento di «compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista»; in tal caso può essere punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 200 euro a 500 euro. Che altro dire? Viene in mente – in contrapposizione alla retorica fascista – il buon Cesare Zavattini, che diceva: «Non so voi, ma io sogno un Paese dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno».
Prof. Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia