Pubblicato il: 02/08/2022 alle 14:06
«… Ma in fondo, niente finisce, tutto si trasforma». Un mese fa, poco prima che si concludesse la giornata di sabato 2 luglio, se ne andava Oscar Dell’Aira. Di mio cugino Oscar potrei dire tante cose. Così come ciascuno di noi può dire tante cose di un parente, di un amico. Di una persona cara. Come non ricordare le primissime avventure dell’infanzia, le feste e i pranzi in famiglia, i primi amori, la scelta dell’università, la passione per l’arte e il disegno, i libri, i film prediletti. Ma anche: le perdite, le separazioni, gli amici e le amiche, il teatro, la scuola, i viaggi, la passione civile e politica.
Tra le immagini più belle e più nitide ricordo le notti, sotto un immenso cielo stellato, a Manfria, dove trascorrevamo le estati con le nostre famiglie, allora piene di forza e di gioia. Io ragazzino, lui qualche anno più grande. Capitava spesso che dopo una giornata trascorsa nella felicità assoluta e assolata di un’estate al mare, con tante amiche e tanti amici e mille avventure, ci ritrovavamo, in tarda sera, davanti casa. E allora, anziché rincasare, discutevamo per ore delle grandi questioni della vita. Del senso della vita. E così, il cielo diventava chiaro. Sempre più chiaro. Finché giungeva un nuovo giorno.
A tanti, tra quelli che lo hanno incontrato, Oscar ha dedicato e donato le sue vignette, i suoi disegni. I ritratti. E’ così che egli esprimeva il suo modo personale di vedere, di conoscere gli altri: sempre acuto, spesso affettuoso, mai sarcastico. Immaginifico. Sempre e comunque animato da un sentimento di empatia. Di amicizia, se non di fratellanza. Tra gli scritti di Jorge Luis Borges troviamo questo frammento: «Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto.» Ecco, nei tanti volti, nei tanti paesaggi, nei tanti frammenti di vita disegnati, rappresentati da Oscar, possiamo scoprire l’immagine del suo volto, il racconto della sua calda vita.
Negli ultimissimi anni, ci incontravamo di rado con Oscar e quasi sempre egli preferiva che ci incontrassimo alla Villa Amedeo, un luogo del cuore nella sua amatissima Caltanissetta. Un luogo pregno di ricordi felici. E comunque ci sentivamo spesso: tramite whatsapp o messanger. Egli, sempre delicato, discreto, preferiva questo modo di comunicare, rispetto alla piazza virtuale ma affollata e rumorosa dei social. E così, il suo ultimo messaggio, inviatomi su whatsapp lo scorso 4 giugno 2022, è una poesia di Ezra Pound, tratta dai Canti Pisani: “Quello che veramente ami rimane”.
Ricordo i versi conclusivi:
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità. Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.
Io sapevo, ovviamente, della malattia di Oscar, la stessa inesorabile malattia di sua madre, la zia Rina. E come tutti speravo che riuscisse a superarla. A guarire. E così, consegnandomi le struggenti parole di Ezra Pound, egli scrive: «Ciao Leandro, che ne pensi di questa poesia? Un abbraccio». E io: «Grazie, Oscar. Conoscevo questa poesia. E’ bellissima. Parla della vita, della nostra vita». Un mese dopo Oscar ci lasciava. Dentro al taschino del suo ultimo vestito (bianco) ho riposto una piccola conchiglia striata, segno di vita e di resurrezione, augurio di buon viaggio. Una conchiglia raccolta, tanto tempo fa, sulla riva dorata del mare di Manfria: là dove giovanissimi, nelle lunghe estati degli anni ’60/’70 correvamo incontro alla vita, all’amore e ai nostri sogni. Namasté, caro Oscar.
Leandro Janni