Pubblicato il: 08/01/2024 alle 09:36
Dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 si è tenuta all'Expo City di Dubai, sotto la presidenza degli Emirati Arabi Uniti, la ventottesima Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, la COP28. La scelta di affidare la COP28 agli Emirati e mettere a capo della conferenza Sultan Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Adnoc e negazionista climatico, è stata a lungo criticata come potenzialmente decisiva per il suo fallimento. Molti hanno denunciato i possibili conflitti di interessi derivati dal doppio ruolo di Al Jaber e da quello degli Emirati Arabi come uno dei maggiori produttori di petrolio mondiali. In più, il paese ospitante ha pianificato di sfruttare questa occasione per siglare accordi di estrazione dei combustibili fossili tra le proprie compagnie e i paesi partecipanti. Premesse davvero pessime. Ad ogni modo, dopo due settimane di incontri, la COP28 si è conclusa con un testo siglato da più di 190 Nazioni, ma il documento finale non contiene né obblighi né cronoprogrammi, impegni o responsabilità definite.
Gli Stati insulari, tra i più colpiti dalla crisi climatica, hanno denunciato “una litania di scappatoie” che impedisce di fatto la riduzione delle emissioni necessarie a frenare l’aumento della temperatura sulla Terra oltre la soglia da non superare dei famosi 1,5°. Molti Paesi del Sud del mondo, invece hanno protestato per l’assenza dei finanziamenti necessari a riconvertire le proprie economie estrattive e pagare i danni provocati dalla crisi climatica. Fanno riferimento al “fondo verde” su cui si erano impegnati i Paesi che più hanno inquinato e inquinano. La verità è che non può esistere una soluzione autentica ed efficace all’interno del sistema economico e culturale che ha prodotto la crisi. Ancora una volta la governante globale ha dimostrato di essere subordinata agli interessi delle grandi transazionali e delle nazioni più inquinanti e armate. E dunque è inevitabile che ingiustizie ambientali e sociali continuino a crescere così come disuguaglianze e instabilità politica internazionale. Crisi climatica, disuguaglianze e guerre sono strettamente collegate e si alimentano a vicenda, allontanandoci inesorabilmente dalla risoluzione dei problemi.
Ma cosa fare per affrontare il cambiamento climatico e i suoi effetti? Di certo sarebbe fondamentale adottare approcci integrati che coinvolgano individui, comunità, governi e industrie. E’ fondamentale puntare sulla riconversione ecologica delle attività industriali e produttive e non sulla “transizione energetica”; puntare sull’agroecologia e non sull’agrobusiness; puntare su educazione e formazione per combattere deforestazione e monoculture e non sulle nuove tecnologie; puntare sull’eco-sufficienza e non su un’ineffabile “crescita verde”; puntare sulla cooperazione e collaborazione tra Paesi e non su competizione e guerre. Insomma: dobbiamo andare verso una visione integrale, verso una logica di “sanazione” della relazione tra esseri umani e altre entità viventi, basata su riconoscimento e cura.
Inevitabilmente mi chiedo: cosa stanno facendo il governo regionale e i sindaci siciliani per affrontare e combattere la “crisi climatica” nei nostri territori, fortemente connotati da processi di desertificazione? Ogni anno, in Sicilia, 117 chilometri quadrati di territorio si trasformano in deserto. Ma, tornando agli esiti della COP28, ecco una semplice infografica (a cura di Climate Media Center Itali – https://www.climatemediacenteritalia.it/) che contiene le cose chiave da tenere a mente del documento finale. Anche per rammentarle ai governi che hanno approvato gli impegni, più o meno stringenti, dell’accordo siglato lo scorso 12 dicembre 2023, a Dubai.
Prof. Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia