Pubblicato il: 19/06/2013 alle 11:13
Perché affrontare il tema del transessualismo? Perché pur trattandosi di una realtà fatta di persone che conducono una vita del tutto normale, coerentemente con l’identità di genere sessuale d’elezione, che riescono a trovare un partner stabile oppure a convolare a nozze dopo il superamento della rettificazione di attribuzione del sesso (legge 164/82), purtroppo ancora oggi permangono profondi pregiudizi. Durante una conversazione a tavola con alcuni amici, un commensale, lasciandomi del tutto stupita, ha espresso la propria cruda opinione secondo la quale “i transessuali non hanno diritto a sposarsi”. L’odierna società liquida di baumaniana memoria, così fluida, flessibile, priva ormai dei vecchi assolutismi socio-educativi – famiglia tradizionale, chiesa come unico ente morale e scuola come unica agenzia educativa – non abbandona il pregiudizio sessuale che accomuna erroneamente in modo spesso intercambiabile omosessualità e transessualismo, ritenendoli stili di vita devianti.
1) I DUE MONDI DEL TRANSESSUALISMO
L’identità di genere in transizione è una realtà complessa, indipendente dall'orientamento o gusto sessuale: infatti una transessuale da maschio a femmina (Male to Female) può essere eterosessuale o lesbica, così come un transessuale da femmina a maschio (Female to Male) può essere eterosessuale o gay. Non si tratta di una forma di “trasgressione” dovuta ai cambiamenti sociali, infatti la transizione da un genere all’altro si trova anche in alcune culture indigene tradizionali: come per i berdache (o bardassa) del Nord America, giovani uomini che scelgono di vestirsi da donna assumendone ruolo e status, o in Siberia settentrionale nelle tribù dei Ciucki e nel Borneo tra i Daiacchi dove è un costume largamente diffuso tra i giovani l’assunzione di identità femminile venendo sin dall’infanzia. Oppure in India gli Hijras che rinunciano alla sessualità maschile, assumendo nome, abbigliamento e identità femminili, dedicandosi al culto di divinità androgine. Il Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM IV) definisce la condizione transessuale come disforia di genere (disturbo dell'identità di genere): si tratta di una condizione caratterizzata da una forte e persistente identificazione col sesso opposto a quello biologico, ovvero i caratteri sessuali secondari, non risultano congruenti con l’identità di genere. L’universo transessuale è comunque piuttosto vario e caratterizzato da individui con storie ed esperienze molto differenti tra loro che possono essere sintetizzate in due grandi categorie: transessualismo primario che si manifesta già in età precoce e prepuberale persistendo per tutto il corso della vita e transessualismo secondario il cui impulso transessuale si manifesta in età adulta e in modo oscillante con atteggiamenti di omosessualità effeminata alternata ad esperienze occasionali di travestitismo. Nel transessualismo primario il desiderio di appartenere all’altro sesso nasce innanzitutto dalla convinzione di appartenervi: nei bambini maschi durante l’età evolutiva l’identificazione col sesso opposto si manifesta con un eccessivo interesse per le tradizionali attività femminili, nell’indossare abiti da donna e nel preferire giochi e passatempi tipici delle bambine, associato spesso al mancato svolgimento di sport competitivi nonché nella convinzione spesso dichiarata che quando cresceranno diventeranno donne. Questo desiderio nelle bambine si manifesta con l’insistenza ad urinare in posizione eretta, nel rifiuto ad indossare capi femminili o a mantenere i capelli lunghi, nel preferire giochi maschili e non di rado chiedono di essere chiamate con nomi maschili. Nel transessualismo secondario la disforia emerge in età adulta, quando il cambiamento di sesso diviene l’unica forma di adattamento sconvolgendo la dimensione relazionale e le routine sociali che la persona ha costruito fino a quel momento. La transizione verso un’altra identità sessuale diviene un’esperienza di rottura che necessita dell’elaborazione di un lutto nei confronti della vita sino ad allora in accordo con il sesso biologico.
2) CAMBIO SESSO, MA NON LA COPPIA
Alcune persone transessuali precedentemente sposate dopo la riconversione chirurgica del sesso decidono per esempio di mantenere inalterata la coppia coniugale precedente e il rapporto con i propri figli al fine di proteggere la dimensione affettiva. L’idea del divorzio per questi precari nuclei familiari, dove un partner affronta il cammino di transizione al sesso eletto, appare un fattore di rischio notevole poiché comporta la rottura dei propri equilibri e forme di isolamento. Infatti famiglia, partner, amici, colleghi sono le risorse relazionali che accompagnano la persona in transizione in un cammino difficilissimo caratterizzato da un significativo investimento di energie psichiche. Lo stigma sociale favorisce il rischio di frammentazione del sé, i vissuti di esclusione ed emarginazione sociale, i contenuti depressivi, di svalutazione, il senso di colpa legati al confrontarsi con la propria autostima e con i cambiamenti corporei. Nel difficile cammino di costruzione del Sé c’è qualcuno che si offre di accompagnarci, di dirci come ci vede e chi siamo per lui con gli sguardi e con le parole ma c’è una società che pur avendo il compito di aiutare e sostenere sceglie di ignorare, abbandonare, isolare, criticare, giudicare e frantumare dunque i processi costruttivi di identità con una parola: il rifiuto.