Pubblicato il: 04/05/2018 alle 16:49
C'è una travagliata storia familiare dietro la tragedia dai contorni incomprensibili che ha avuto come protagonista Antony Mangiapane, 23 anni, il disoccupato di Niscemi che si è ucciso ieri sera con un colpo di pistola alla testa dopo avere ferito al piede destro un giovane di 19 anni, Salvatore Fidone, col quale aveva avuto un diverbio.
Fidone non digeriva che la moglie fosse stata fermata per strada da Mangiapane che, in virtù di una vecchia amicizia, aveva chiesto aiuto alla donna per convincere una amica e vicina di casa di lei ad accettare la corte del disoccupato. L'alterco è finito nel sangue con il ferimento di Fidone e il suicidio di Mangiapane. Polizia e carabinieri hanno taciuto con i cronisti, preferendo mantenere uno stretto riserbo sulla vicenda. A ricostruire la difficile situazione familiare di Mangiapane è don Giuseppe Cafà, parroco della chiesa Sacro Cuore di Gesù, che lo conosceve bene. "Nessuno di noi – dice il sacerdote – avrebbe mai immaginato questo epilogo per la giovane e sofferta vita di Antony. Era sensibile ma molto introverso. Lo avevamo inserito nel gruppo d'ascolto della parrocchia. Ma non ci aveva mai parlato della sua passione per quella ragazza". "In casa – spiega don Giuseppe – sentiva enorme il peso della responsabilità della famiglia, abbandonata dal padre in estrema povertà, con un fratello disabile, una sorella piccolina e la madre che doveva badare a loro. Antony faceva ogni lavoro, in città, in campagna, persino come necroforo. Ma non bastava.
Cercavamo di aiutarlo noi con il banco alimentare, gli pagavamo le bollette. Poi abbiamo deciso di iscriverlo al corso di operatore sanitario Osa per dargli una professione e un futuro.
Accettò e iniziò a frequentare con ottimi risultati". Il parroco non riesce a darsi una spiegazione per il suicidio: "forse perchè pensava di avere ucciso, forse perchè aveva capito di avere sbagliato. Di certo a casa di Antony adesso restano tre persone nella disperazione e nell'abbandono". (Ansa)