Pubblicato il: 24/04/2014 alle 16:49
Chissà se, quando e dove rivedremo Michele Campisi. Sembrava un leone in gabbia oggi, il sindaco uscente. Con un piede fuori Palazzo del Carmine dove sperava di ritornare. A chi lo guardava è apparso un uomo arrabbiato, molto con chi lo ha contestato in questi anni, ma forse soprattutto con sé stesso per non aver saputo diffondere bene l'attività amministrativa svolta dalla sua squadra di assessori, schierata al suo fianco. Verissimo, Michele Campisi non ha saputo parlare ai nisseni o lo ha fatto malamente, ma deve far riflettere la sua uscita di scena con questi toni. Fra le urla, i toni violenti, aspri, parecchio strumentali di questi tempi. Ciò che ha fatto nel suo mandato lo ha stampato in 20 fogli consegnati ai cronisti e lo ha sintetizzato in oltre un'ora di monologo.
C'è tanto lavoro, altri progetti che il prossimo sindaco troverà nel cassetto magari prendendosene il merito. In quelle pagine ci sono pure le riflessioni dell'uomo Michele Campisi. Di un marito e di un padre. Che s'è pure commosso quando, con la moglie Germana in platea ad ascoltarlo, ha chiesto scusa ai familiari.
“Vi ho dedicato meno tempo di quanto dovevo e oggi non so se ho fatto bene, ho trasferito a casa le mie tensioni, i miei problemi, ci siamo giocati qualche vacanza per dovere istituzionale, assecondandomi in una scelta difficile”, ha detto Campisi con gli occhi lucidi.
Oggi abbiamo assistito alla Waterloo di Michele Campisi politico, ma chi si aspettava la sfuriata contro coloro i quali lo hanno mollato strada facendo non concedendogli il bis, è rimasto deluso. Qualcuno magari era pure accomodato in sala ad ascoltarlo, a fissarlo negli occhi. Solo cenni a quei Giuda che il sindaco s'è ritrovato seduto nei tavoli in questi anni, nelle stanze dei bottoni e nelle segreterie, a chi magari ha preteso posti al sole e s'è sentito rispondere “no”.
I cronisti fremevamo per porgere domande incalzanti, ma il fuoriprogramma dettato dal pretestuoso e strumentale protagonismo del candidato del Pd Totò Porsio – dai quali tutti hanno preso le distanze, – che ha alimentato la violenta sfuriata del codazzo di operatori Rmi e, a catena, la discutibile ma pacifica reazione del cineoperatore Peppe Panzica che ha sfogato la rabbia e la disperazione di un padre di famiglia per promesse non mantenute sulla ripresa del servizio di informazione del Comune interrotto dopo anni, hanno impedito ai rappresentanti della stampa di svolgere il proprio lavoro di informazione alla cittadinanza incalzando Michele Campisi e costringerlo a tirare fuori i sassolini dalla scarpa che lui, per timore o per chissà quale motivo, non s'è scrollato di dosso.
Totò PorsioAvremmo voluto chiedere a Campisi chi ha recitato il requiem della sua carriera politica. Amici, finti alleati o leali nemici? Sono dentro o fuori il suo partito? Oggi ha vinto la prepotenza di pochi, a svantaggio degli altri. E Campisi è stato costretto alla ritirata. Ha parlato degli schizzi di fango piovuti sulla “mafiosità” della sua Giunta, della pulizia amministrativa fatta a Palazzo del Carmine e del braccio di ferro con i burocrati, dell'ordine riportato nell'allegra gestione dei Servizi sociali. E di questo gliene diamo pubblicamente atto. “Non ho studiato alla scuola dei disonesti”, ha aggiunto.
“Non ripresento la mia candidatura a sindaco – ha detto Campisi nel suo monologo – convinto come sono che un’area di centro destra quale appartengo deve essere unita per realizzare delle vittorie. Troppi i generali, troppi i comandanti, troppi i soggetti che si auto proclamano e si legittimano a stare nei tavoli delle scelte politiche per poi scoprirne che invece sono accecati dall’odio e dall’acredine verso qualcuno o agiscono per proprio interesse personale. Non ci sto, non mi interessa, la politica è seria quando si parla di programmi e di progetti, quando invece si parla non di uomini ma di nomi abbiamo perso in partenza. Ho sicuramente tante colpe, ho sicuramente fatto degli errori, ma quando si amministra nel contesto economico sociale etico e politico attuale bisogna fare i conti con la propria coscienza e mi dispiace se qualcuno non è diventato assessore o non ha ricevuto incarichi (pochi per la verità) ma ho sempre avuto davanti il bene della mia città e una coscienza che mi ha sempre fatto operare in assoluta onestà, lealtà, correttezza e trasparenza. Non mi interessava e non mi interessa qualora se candidato ed eletto condividere un rinnovo di mandato obbligato a muovermi in schemi vecchi, in spartizione antiche in logiche di interessi personali , mi dispiace ma preferisco, qualora il mio giovane partito lo ritenga opportuno, dare una mano per la crescita politica nel territorio dello stesso e a scanso di equivoci non sono interessato ad avere o rivestire ruoli nella prossima tornata amministrativa. Sono fermamente convinto che le parole esaltano ma sono gli esempi che fortificano l’uomo e il suo carattere e oggi troppe sono le dichiarazioni e pochi gli esempi. Speriamo che non sia una corsa alle poltrone da occupare o alle logiche spartitorie nel nome e per il bene della città”.
Un ultimo appunto e ci sentiamo di rivolgerlo alla flotta di candidati al Consiglio comunale e ai partiti che li selezionano. Ai primi diciamo che l'esasperazione non porta da nessuna parte. Anzi, alimentare la cappa di tensione non aiuta una città che già soffre parecchio. Che sia la responsabilità, ancor prima delle passerelle, a dettare l'azione di chi punta ad amministrare la città anche sedendosi nell'aula consiliare. Ai partiti invece chiediamo più rigore nella scelta di chi li rappresenta. Meno esagitati, più equilibrio.
La storia di questa città dovrebbe insegnare parecchio e invece vi sono discepoli strafottenti e incoscienti. Il sindaco Michele Abbate è stato ucciso dalle coltellate di un disperato. Non si vincono le elezioni soffiando sul vento della disperazione, anche se la ragione può stare dalla nostra parte. L'assessore Giuseppe Firrone, alcuni mesi fa, ha rischiato il linciaggio da parte di alcuni facinorosi del Reddito Minimo che – pur quanto disperati – al dialogo hanno preferito menare di mani, trasformando la Sala Gialla in un ring. E i vigili urbani hanno rimediato cazzotti e insulti. Michele Campisi e la sua Giunta non possono essere colpevoli di un malessere stagnante che vige da anni a Caltanissetta. E la violenza non può e deve essere complice della politica.