Pubblicato il: 03/03/2024 alle 09:51
Secondo un recente studio, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science e Technology, se l’acqua del rubinetto venisse bollita, grazie al calcare, disperderebbe fino all’80% delle microplastiche contenute. Nonostante negli anni siano state sviluppate molte strategie per ridurre queste particelle che possono trovarsi ovunque, dall’aria, al suolo, all’ambiente e perfino nel nostro corpo, nessun metodo fino a ora si è dimostrato efficace.
Il team di ricercatori della Guangzhou Medical University e della Jinan University, in Cina, hanno esaminato gli effetti dell’ebollizione su tre componenti che sono stati individuati nell’acqua potabile; poliestere, polietilene e polipropilene. Il risultato è stato sorprendente: dopo aver portato i campioni all’ebollizione per cinque minuti e lasciati raffreddare, gli studiosi hanno misurato il contenuto della plastica e rilevato che era diminuito. L’acqua bollita, ricca di minerali, forma una sostanza comunemente nota come calcare o carbonato di calcio (CaCO3) che provoca incrostazioni o strutture cristalline, che incapsulano le particelle di plastica rendendole innocue. Se eventuali incrostazioni restano a galla possono poi essere rimosse attraverso un semplice filtro.
L’esperimento ha dimostrato che, nelle acque più dure, quelle che contengono più sali minerali di calcio e magnesio, in un campione contenente 300 milligrammi di CaCO3 per litro d’acqua, dopo l’ebollizione è stato rimosso fino all’ 80% delle microplastiche. Si è invece rivelato meno efficace nei campioni di acqua con PH più dolce, con meno di 60 milligrammi di CaCO3 per litro, solo il 25% di plastiche è risultato rimosso. “Questa semplice strategia di ebollizione può decontaminare nano e microplastiche dall’acqua del rubinetto domestico e ha il potenziale per alleviarne in modo innocuo il suo consumo”, hanno concluso i ricercatori nel loro studio.
Seppure, gli studi per comprendere quali siano gli effetti che le ingestioni dei frammenti di plastiche possano avere sulla salute umana, siano ancora in fase di sperimentazione, si ritiene che se assunte in quantità massicce, possano alterare il microbioma intestinale. Tuttavia, il team, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ha voluto precisare che sono stati esaminati solo i polimeri semplici non addizionati con “plastificanti”, come BPA e PFAS, le cosiddette sostante chimiche permanenti ampiamente utilizzate dai settori, dell’abbigliamento e degli imballaggi alimentari.