Pubblicato il: 19/01/2015 alle 08:00
La scorsa settimana, nelle nostre pagine, la psicologa Marta Cortese ha spiegato come anche i bambini possono manifestare sintomi ansiosi sin dai primi mesi di vita. “I bambini già a 3 mesi possono sembrare spaventati, eccessivamente reattivi e iperconcentrati” ha sottolineato la psicologa della cooperativa Controluce e del Centro di terapia per la famiglia.
Questi, soprattutto con l’evidente presenza di situazioni particolarmente gravi, sono i casi più estremi ma più frequentemente l’ansia si manifesta come eccessiva  apprensione e paura rispetto a molte esperienze che dovrebbero essere “normali” da affrontare per l’età, mentre per alcuni bambini diventano difficili da sostenere. I piccoli avranno ansia nel giocare con compagni, nell’andare a scuola o a casa di amichetti, nel fare i compiti, nel provare nuovi cibi, più in generale a fare nuove esperienze, che li fanno sentire particolarmente esposti.
L’ansia nei bambini, come è stato sottolineato la scorsa settimana, può prendere svariate forme (Disturbo d’Ansia da Separazione, Mutismo Selettivo, Fobia Specifica, Disturbo d’Ansia Sociale o Fobia Sociale, etc..). La psicologa Cortese ha spiegato, Â Â brevemente, una delle più comuni: l’ansia da separazione.
In questi casi il bambino ha molta paura di separarsi dai genitori (o dalle figure di riferimento principali per lui), il solo pensiero che ciò possa accadere, anche per pochi minuti,innesca una preoccupazione eccessiva e un forte malessere che può manifestarsi – tra gli altri sintomi – con pianto, collera, disperazione, sintomi fisici associati a tali eventi, come mal di pancia, nausea.  A ciò seguono spesso condotte di evitamento, il bambino può evitare di uscire o andare in posti nuovi, per paura di dovere affrontare una separazione, possono esserci timori persistenti  ed eccessivi di sperimentare une vento avverso per sé o per i genitori (essere rapiti, avere un incidente, ammalarsi o che i genitori si infortunino, si ammalino o addirittura muoiano), paura di dormire fuori casa o nella stanza senza una figura di riferimento e spesso vi sono incubi ricorrenti riguardanti queste tematiche.
Perché si possa parlare di Disturbo d’Ansia da Separazione devono essere presenti almeno tre dei sopracitati sintomi; la paura, l’ansia e l’evitamento devono essere persistenti ed essere presenti per almeno 4 settimane (come specifica il DSM V- “Diagnostic and Statistic Manual of MentalDesorder”).
Tali preoccupazioni possono aver inizio in seguito ad un evento scatenante come le prime esperienze all’asilo o alla scuola elementareo un momento in cui il bambino si è ritrovato solo; altre volte può accadere in contemporanea a cambiamenti importanti nella vita del piccolo,come il trasloco in una nuova casa, la nascita di un fratellino, ma, più frequentemente, non c’è una vera e propria causa scatenante o almeno non è così definita.
Quando da genitori ci si trova con un bimbo in una situazione d’ansia,spesso,la tendenza è quella di concentrarsi troppo o solo sulla ricerca della “causa” per agire su di essa; in realtà in queste situazioni ciò che diventa importante, e su cui è necessario concentrarsi, è il sentire del bambino, che inizia a provare che ogni evento è incontrollabile per sé; Â tutto ciò che solo fa pensare alla separazione viene sperimentato come estremamente minaccioso, anche se prevedibile; il bambino pensa di non avere alcun potere sulle cose, ma soprattutto sulle sue emozioni;prova una tristezza ed un dolore per la separazione insopportabili.
Il bambino non si sente in grado di affrontare il mondo senza i genitori, la paura lo sovrasta e, soprattutto, “non sa cosa gli stia succedendo, né perché o come fare a fronteggiare ciò”.
Tali comportamenti portano spesso grande angoscia, anche nei genitori, che rischiano di entrare anche loro in grande allarme, o di “spingere” il bambino a fare ciò che non si sente di fare, ma questo spesso ha l’effetto contrario; il bambino si chiuderà ancora più nel suo guscio.
In questi casi un colloquio con uno psicoterapeuta, esperto in età evolutiva, può aiutare, prima di tutto i genitori, a comprendere meglio i significati ed i messaggi del malessere del bambino e trovare il modo migliore persostenere il piccolo verso una comprensione emotiva della propria esperienza, in una fase difficile del proprio sviluppo.
Per approfondire: La psicologia di “Controluce”: i suggerimenti delle esperte contro il “disagio del sé”