Pubblicato il: 28/11/2021 alle 12:25
Riforma fiscale del Governo Draghi: un’occasione persa?
Il Governo Draghi aveva tra le sue priorità, nell’ambito della gestione delle risorse per il PNRR, una riforma fiscale che potesse abbassare la pressione fiscale e dare fiato a lavoratori e famiglie. Nove mesi dopo il suo insediamento e la gestione, non facile, del piano vaccinale, è uscita la proposta di riforma del sistema impositivo, senza proclami propri di forze politiche becere ma con note di ottimismo decisamente fuori luogo. Vediamo nel dettaglio la proposta di riforma. Attualmente ci sono cinque aliquote:
-da o a 15.000 euro 23%
-da 15.001 a 28.000 euro 27%
-da 28.001 a 55.000 euro 38%
-da 55.001 a 75.000 euro 41%
-oltre 75.000 euro 43%
In sintesi, quanto pagano i contribuenti italiani oggi?
Presto detto: chi incassa al netto 25.000 euro paga 6.960 euro; chi incassa 50.000 euro paga 15.320 euro; chi incassa 75.000 euro paga 25.420 euro; chi incassa 100.000 euro paga 36.170 euro. Sono aliquote abbastanza elevate per la media europea e in generale per quella applicate dai paesi più sviluppati: si va dal 28% circa dei contribuenti che incassano 25.000 euro annue al 36% circa di quelli che ne incassano 100.000. Anche perché all’imposizione statale – stiamo parlando solo di questa – si aggiungono le imposte e le tasse regionali e comunali, che valgono diversi punti percentuali. La crisi in atto dal 2008, anno del fallimento della banca americana Lehman Brothers e del crollo di tutti gli indici economici e finanziari, amplificata drammaticamente dalla pandemia, aveva ridotto fiducia e disponibilità di imprese, famiglie e lavoratori, spingendo l’economia in una spirale di recessione che ha indotto persino la poco generosa Unione Europea a chiedere meno e dare di più ai suoi cittadini.
Come si dà di più? Certamente abbassando la pressione fiscale, specie in quei paesi, come l’Italia, dove essa è elevata e la crisi economica è più pesante. Ecco che allora da un economista come Mario Draghi, quello che durante la crisi monetaria della c.d. Eurozona impegnò la Banca Centrale Europea a sostenere i prestiti obbligazionari dei paesi più esposti, come il nostro, per salvare la sua economia, ci si aspettava di più. La sua frase pronunciata durante una drammatica conferenza stampa restò negli annali: «whatever it takes», ad ogni costo, e così fu salutato Mario Draghi quando prese il timone di un paese disastrato dalla crisi economica e dalla pandemia. La riforma fiscale era attesa: certo, prima era necessario mettere il paese al sicuro dalla pandemia con una campagna vaccinale che ci vede primi in Europa e dal rischio di un nuovo, ferale lockdown. Ora che la proposta di riforma è stata resa pubblica, però, molti operatori del settore non sono convinti: certo, qualche politico la presenta come una panacea e qualcun altro come il primo passo, ma allo stato attuale questa riforma sposta poco o niente.
Vediamo le possibili nuove aliquote:
-da o a 15.000 euro 23%
– da 15.001 a 28.000 euro 25%
– da 28.001 a 50.000 euro 35%
– oltre 50.000 euro 43%
Traduciamo le aliquote in numeri. Chi incassa al netto 25.000 euro paga 5.950 euro; chi incassa 50.000 euro paga 14.400 euro; chi incassa 75.000 euro paga 25.150 euro; chi incassa 100.000 euro paga 35.900 euro. I numeri parlano chiaro: si tratta di riduzioni assolutamente irrilevanti.
Vediamo nel dettaglio.
I contribuenti che incassano 25.000 euro risparmiano 200 euro l’anno.
I contribuenti che incassano 50.000 euro risparmiano 920 euro l’anno.
I contribuenti che incassano 75.000 euro risparmiano 270 euro l’anno.
I contribuenti che incassano 100.000 euro risparmiano 270 euro l’anno.
Appare chiaro che – tranne per la fascia media che arriva a 50.000 euro annue – il risparmio è minimo e non sarà in grado di raggiungere lo scopo che la riforma si prefigge, ovvero riportare fiducia nel futuro e rilanciare i consumi: neppure alla fascia di contribuenti più agevolata il risparmio di 920 euro potrà portare benefici tangibili perché si tratta di potere andare a cena fuori una volta in più al mese.
Non è questa la riforma fiscale che ci si aspettava, specialmente in un paese che vede ancora oggi elevatissimi tassi di evasione fiscale che si potrebbe contrastare solo con una verifica al Pubblico Registro Automobilistico o al Catasto e invece resta sempre più impunita, mentre l’Agenzia delle Entrate si abbatte sui contribuenti che dichiarano tutto ma non ce la fanno a pagare quanto devono perché è troppo. Occorre infine dire che la riforma sarà attiva con l’anno di imposta 2022 e quindi i suoi modestissimi effetti si produrranno soltanto alla fine del 2023, due anni, alla faccia della necessità di interventi immediati e soprattutto con effetti immediati. Spero che questa inadeguata riforma fiscale venga immediatamente rivista e possibilmente anticipata a quest’anno fiscale, in modo da sgravare i contribuenti da pesi insostenibili già con la primavera-estate del prossimo anno.
In conclusione, una riforma fiscale degna di questo nome ci vuole con urgenza, ma essa potrà definirsi davvero tale se porterà, nelle forme, che restano complesse, e nella sostanza, un reale alleggerimento di adempimenti e pagamenti. A prescindere dalla riforma della complessità della dichiarazione dei redditi, unica al mondo e difficile da comprendere anche da parte degli addetti ai lavori, con conseguente contenzioso tributario, dannoso per il sistema, la pressione fiscale si deve abbattere almeno del 10% per tutte le fasce di imponibile recuperando risorse dall’evasione e dalle spese pubbliche inutili, come il fallimentare reddito di cittadinanza, finito troppo spesso nella tasche dei fannulloni, dei truffatori e persino della criminalità organizzata, come le cronache ci dicono quotidianamente.
Occorre anche intervenire sul sistema delle deduzioni e delle detrazioni, che possono, nel breve e medio periodo, dare un contributo al rilancio dei consumi e quindi della produzione e delle assunzioni. Dubito tuttavia che questa classe politica, assolutamente inadeguata in tutte le sue componenti, possa perseguire e raggiungere questo obiettivo, presa com’è dalla sua sola necessità di restare in sella e continuare a godersi benefici oramai economicamente e moralmente insostenibili per un paese in grande difficoltà. Infine: considerato che questa è una testata che si occupa prevalentemente di Caltanissetta, cos’ha da dire la classe politica locale ai cittadini che si aspettano – o si aspettavano – un risparmio fiscale? Vedremo. Antonio Onofrio Campione