Pubblicato il: 18/09/2013 alle 14:11
La procura di Catania ha chiesto la condanna a 10 anni dell'ex presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. La richiesta è stata formulata dal procuratore Giovanni Salvi, intervenuto personalmente davanti al Gup Marina Rizza, per concludere la requisitoria condotta nelle precedenti udienze dal sostituto Giuseppe Gennaro. Raffaele Lombardo, che viene processato col rito abbreviato su sua stessa richiesta, ha sempre respinto le accuse. Lombardo ha reso dichiarazioni spontanee davanti al Gup e ha affermato di voler rinunciare ad avvalersi della prescrizione per il reato elettorale.
Il processo si celebra col giudizio abbreviato condizionato, dal 30 ottobre dello scorso anno, davanti al Gup. Nata da uno stralcio dell'indagine Iblis dei carabinieri del Ros di Catania su presunti rapporti tra Cosa nostra, politica e imprenditori, l'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia era sfociata in un processo per reato elettorale davanti al giudice monocratico per Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, allora deputato nazionale dell’Mpa. La Procura ha poi presentato una richiesta di archiviazione per concorso esterno all'associazione mafiosa per i fratelli Lombardo, che il Gip Luigi Barone, in camera di consiglio, ha rigettato disponendo l'imputazione coatta.
Nel frattempo i pm hanno contestato l'aggravante mafiosa per il reato elettorale, per voti di scambio che, secondo l'accusa, avrebbe ricevuto da ambienti criminali, atto che ha di fatto concluso il processo davanti al giudice monocratico. Così le accuse dei due fascicoli sono confluite in un unico procedimento davanti al Gip Marina Rizza, che deve ancora decidere sul rinvio a giudizio di Angelo Lombardo.
Le posizioni dei due fratelli si sono separate soltanto virtualmente. Infatti il giudice è lo stesso: Marina Rizza, e per questo, inevitabilmente, i due procedimenti stanno scorrendo in ‘parallelo' ed è prevedibile che le due sentenze arrivino in contemporanea, altrimenti il magistrato giudicante sarebbe incompatibile per uno dei due riti.