Pubblicato il: 13/01/2024 alle 16:49
(di Lara Sirignano, Ansa) Il primo è stato Giovanni Luppino, sulla carta imprenditore agricolo, di fatto fedelissimo autista del boss Matteo Messina Denaro. Era lui ad accompagnarlo alle sedute di chemioterapia. Per 50 volte in meno di due anni avrebbe fatto la spola tra Campobello di Mazara e La Maddalena, la clinica in cui il padrino allora ricercato si sottoponeva alle cure per il cancro. «Me lo avevano presentato con un altro nome e questa mattina all’alba ha bussato a casa mia per chiedermi un passaggio», disse ai carabinieri del Ros che, il 16 gennaio scorso, l’arrestarono insieme al capomafia. Ma le indagini riveleranno che Luppino era molto più dell’autista dell’ex primula rossa di Cosa nostra e che andava a chiedere denaro in giro per finanziarne la latitanza.
L’imprenditore è ancora in carcere e ha chiesto di essere giudicato in abbreviato. La Procura gli ha contestato il reato di associazione mafiosa. Gli accertamenti sulla rete dei fiancheggiatori che hanno protetto il boss hanno poi portato al geometra Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato per anni l'identità al latitante e gli ha consentito di avere il falso documento di riconoscimento usato per acquistare l’ultimo appartamento in cui si è nascosto e per curarsi. Nipote del capomafia Leonardo Bonafede, storico alleato dei Messina Denaro, si trova davanti al gup con l’accusa di associazione mafiosa. Per i pm è uno dei personaggi chiave della latitanza del boss.
Se Andrea era l’alias al ricercato, il cugino omonimo più piccolo, operaio comunale, per mesi ha fatto avere a Messina Denaro prescrizioni e ricette mediche necessarie per le terapie. Bonafede si è sempre difeso sostenendo di aver consegnato i documenti al cugino ritenendo che fosse lui il paziente. Dalle indagini, però, è emerso che almeno in due occasioni, nel novembre del 2020, il «postino» avrebbe attivato delle sim per il cellulare in realtà utilizzate dal latitante. E’ stato condannato dal gup per favoreggiamento aggravato a 6 anni e 8 mesi.
Ancora in corso, invece, a Marsala il processo per concorso esterno in associazione mafiosa al medico Alfonso Tumbarello. Era lui a compilare le ricette per il capomafia. “Ero certo che il paziente fosse Andrea Bonafede», ha detto ai pm sostenendo di aver avuto in cura per anni un malato mai visitato. Vecchio massone vicino alla famiglia Messina Denaro, è solo il primo dei medici finito sotto la lente degli investigatori che, nel mondo della sanità che ha coperto il boss, hanno appena cominciato a indagare.
Mese dopo mese il puzzle è andato componendosi. Ed a marzo è toccato a Rosalia, la sorella del capomafia. Una sorta di alter ego del capomafia per conto del quale gestiva affari e comunicazioni, scrivono i giudici dopo il suo arresto per associazione mafiosa. Era l’unica a sapere della malattia del fratello. Fu lei a nascondere nella gamba di una sedia il pizzino, poi trovato dal Ros, con i dati clinici de padrino, indizio fondamentale per arrivare alla sua cattura. Il 16 gennaio, a un anno dall’arresto del fratello, comparirà in udienza preliminare.
La caccia ai fiancheggiatori del boss ha poi portato ai coniugi Bonafede-Lanceri. Lui ennesimo cugino del geometra Andrea, lei amante del padrino e incaricata di smistarne i messaggi. Venerdì è stata condannata a 13 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, il marito ha avuto 6 anni e 8 mesi per favoreggiamento. Le ultime due a finire nella rete degli inquirenti sono infine Laura Bonafede e Martina Gentile. Bonafede, maestra elementare figlia del boss Leonardo, compagna di Messina Denaro di una vita – i due hanno convissuto anche quando lui era latitante – attende la fissazione dell’udienza preliminare ed è accusata di associazione mafiosa, la figlia, pezzo fondamentale della rete che gestiva la posta del capomafia, è ai domiciliari per favoreggiamento. È la figlia che il padrino avrebbe voluto avere. È cresciuta sulle sue ginocchia. «Non mi ero resa conto della sua vera natura», si è difesa davanti al gup.