Avrebbero continuato ad imporre le loro scelte per mantenere un controllo sulle loro aziende che erano state sottoposte ad amministrazione giudiziaria. E’ quanto viene contestato a due fratelli imprenditori dell’Ennese che sono stati raggiunti, insieme ad altre 10 persone, da misure cautelari emesse dalla Dda di Caltanissetta ed eseguite dai finanzieri nisseni. Nove in tutto le persone finite in carcere e tre ai domiciliari. I due fratelli erano proprietari di alcune aziende, perlopiù agricole, che erano state sottoposte a misure di prevenzione con un primo sequestro nel 2017 e con la confisca di primo grado nel 2020. Nonostante ci fosse già un’amministrazione giudiziaria delle aziende, i due fratelli che, per via di alcuni procedimenti a loro carico, evitavano di esporsi in prima persona, si sarebbero avvalsi di altri soggetti che avrebbero cercato nel tempo di interferire nelle attività dell’amministrazione. Ingerenze che si sarebbero attuate mediante furti ed estorsioni, aggravate dal metodo mafioso. In particolare, si sarebbero avvalsi di una rete di fiancheggiatori che avrebbero minacciato i neo assunti per evitare che entrassero a far parte delle aziende altri soggetti che non fossero dipendenti a loro fedelissimi.
"I due germani – si legge nella nota della Guardia di Finanza – attraverso dipendenti “fidelizzati”, avrebbero inciso nelle dinamiche aziendali a più livelli, talvolta anche attraverso l’erogazione di direttive in contrasto con quelle dell’amministratore giudiziario, arrivando alla presunta sottrazione di beni strumentali all’attività agricola per fini personali. Inoltre, in danno delle stesse aziende, oltre ai ricorrenti furti, sarebbero state accertate diversificate forme di intimidazione nei confronti dei lavoratori assunti dall’amministrazione giudiziaria, configurandosi, in danno di questi ultimi, una singolare forma di estorsione aggravata dal metodo mafioso, perché sarebbero stati indotti ad interrompere precocemente il rapporto di lavoro.
Secondo il suindicato provvedimento cautelare le minacce non sarebbero state direttamente avanzate dai due fratelli, per non sovraesporsi, attesa la loro sottoposizione a procedimento di prevenzione e procedimento penale; si sarebbero avvalsi, invece, dell’operato di soggetti a loro “vicini”, ovvero di “fiancheggiatori” per indurre i dipendenti assunti dall’amministratore giudiziario ad abbandonare il posto di lavoro. Tali minacce sarebbero avvenute con le classiche modalità proprie di chi esercita una capacità di intimidazione mafiosa, tanto che le vittime non solo non hanno sporto denuncia, ma avrebbero altresì sottaciuto al datore di lavoro, l’amministratore giudiziario, le reali ragioni del repentino recesso dal rapporto di lavoro appena instaurato.
Nella sostanza, i due fratelli avrebbero così assicurato la presenza esclusiva di personale di comprovata fedeltà presso le imprese loro sequestrate, che avrebbe garantito il costante controllo sul divenire delle diverse attività aziendali. I due fratelli avrebbero organizzato, all’interno di una delle imprese sequestrate, anche un evento conviviale “una cena a base di porchetta”. Evento che, in tale contesto, assumerebbe un alto valore simbolico: una dimostrazione di forza, che avrebbe accresciuto altresì il loro prestigio di fronte agli intervenuti. Inoltre uno dei due fratelli, attraverso “l’intermediazione” di altri “fiancheggiatori”, uno dei quali intraneo a “cosa nostra” e operanti nella provincia di Messina, avrebbe preteso, con modalità estorsive, la restituzione di un autocarro aziendale che un privato, dimorante nella provincia di Messina, aveva legittimamente e “incautamente” acquistato dall’amministrazione giudiziaria. Si precisa, infine, sono stati raccolti gravi indizi circa l’attualità di una vera e propria rete di presunti “sodali” e “fiancheggiatori”, con ramificazioni nelle province di Enna, Catania e Messina, che avrebbe agevolato la pervicace interferenza dei fratelli nelle quotidiane attività aziendali delle imprese confiscate".